
Se cambia il clima/1. Il dialogo possibile
Si è parlato molto nei giorni scorsi, dopo l’aggressione subita dal presidente Berlusconi a Milano, della necessità di abbassare la tensione, attenuando i toni della polemica politica e cercando – nel rispetto dei ruoli di maggioranza e opposizione – qualche ragionevole punto di accordo se non sul merito, almeno sul metodo per affrontare alcune questioni di importanza strategica per il nostro Paese, dalle riforme istituzionali (e probabilmente elettorali) alla giustizia.
Massimo D’Alema, ritenuto politicamente assai vicino all’attuale leadership del Pd (anche se una parte rilevante del partito non è in sintonia con le sue tesi), non ha esitato a teorizzare perfino l’opportunità di qualche “inciucio” (termine da lui stesso lanciato nel linguaggio politico qualche anno fa), cioè di accordi tra maggioranza e opposizione, su temi ritenuti di fondamentale rilevanza nazionale, e ha fatto l’esempio dell’art. 7 della Costituzione, riguardante i rapporti concordatari dello Stato italiano con il Vaticano, che fu approvato con maggioranza che oggi si chiamerebbe bipartisan (ma i socialisti votarono contro…).
Il ragionamento di D’Alema, che non sembra, o non sembra soltanto, una proposta di tregua, implicherebbe l’individuazione di pochi, ma fondamentali punti se non di accordo almeno di intesa, sui quali gli schieramenti tradizionali di maggioranza e opposizione potrebbero convergere (con il dissenso di minoranze sia di destra che di sinistra, come fu anche nel 1947), primo fra tutti quello delle “regole del gioco”, le riforme istituzionali.
Sarebbe auspicabile, ove il dialogo prendesse forma e sostanza (ma non c’è da essere ottimisti), che tra i punti di intesa “strategici” ci fosse anche la tematica degli investimenti per scuola, università e ricerca, un settore ritenuto da tutti essenziale per il futuro, ma nel quale il nostro Paese realizza insufficienti performance ormai da troppo tempo.
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