Scuola, realtà e narcisismo: seguire Hannah Arendt per liberarsi dalla banalità del male

In un’epoca dominata dal narcisismo individualista e dall’onnipresenza deglialgoritmi, la scuola si trova davanti a una sfida cruciale: come coltivare una conoscenza autentica, capace di aprire alla realtà e di formare cittadini consapevoli e pensanti. Prendendo spunto dal pensiero di Hannah Arendt e dalle riflessioni contemporanee di studiosi come Miguel Benasayag e Byung-Chul Han, questo articolo vuole offrire una bussola per orientare l’azione educativa in un mondo complesso e in rapido cambiamento.

La crisi della complessità e il ruolo della scuola.

Viviamo in un tempo in cui la complessità sociale, culturale e tecnologica mette a dura prova le istituzioni, scuola inclusa. Cambiamenti veloci, fragilità delle nuove generazioni e del mondo adulto, l’avanzata dell’intelligenza artificiale (AI) sono solo alcune delle sfide da affrontare. In questo contesto, la scuola non può limitarsi a essere un semplice deposito di nozioni, ma deve porsi come presidio dell’umanità, luogo di crescita della persona e di avventura della conoscenza.

Come insegna Arendt, la conoscenza nasce dalle ferite, da quell’incontro vivo e doloroso con la realtà che scuote il narcisismo dell’io e apre alla domanda incessante. È questa ferita che genera il pensiero autentico, quello che non si accontenta di accumulare informazioni, ma cerca il senso profondo delle cose.

Sapere con tutta l’anima: oltre l’accumulo di nozioni

Nella corrispondenza tra Arendt e Heidegger emerge una distinzione fondamentale tra sapere come mero accumulo di nozioni e sapere con tutta l’anima, ovvero una conoscenza che coinvolge la persona nella sua totalità, alla ricerca del senso. Questo è il cuore della sfida educativa: evitare che la scuola si riduca a un luogo di noia e disaffezione, dove gli studenti si limitano a memorizzare dati destinati a svanire.

Nell’era digitale e dell’AI, è imprescindibile comprendere che la conoscenza è un fenomeno qualitativo, legato all’esperienza, all’intuizione, alla cocorporeità, e non può essere sostituita da algoritmi quantitativi. Come sottolinea Benasayag, le macchine non hanno l’“attrito” necessario per cogliere la complessità del mondo, né la capacità di intuire forme da informazioni minime.

L’educazione al dialogo: antidoto al narcisismo cognitivo

Il narcisismo cognitivo, che spinge a preferire la propria verità e a rifugiarsi in comunità affettive omogenee, è una delle grandi minacce alla democrazia e alla convivenza civile. La scuola deve quindi diventare una palestra di alterità, un’agorà in cui si pensa insieme, si dialoga, si confrontano punti di vista diversi con rispetto e apertura.

Il dialogo è l’antidoto alla polarizzazione esasperata e alla “bolla” dell’io solitario, dove si ascolta solo se stessi. Educare al dialogo significa formare cittadini capaci di uscire dal proprio ego, di ascoltare l’altro e di costruire insieme un pensiero comune, fondamento di una democrazia viva e partecipata.

Liberarsi da Eichmann: pensare dal punto di vista dell’altro

Hannah Arendt ci ricorda che la banalità del male nasce dall’incapacità di pensare dal punto di vista dell’altro, di lasciarsi toccare dalla realtà e dalla presenza altrui. L’educazione deve quindi promuovere la capacità di pensare, non come esercizio astratto, ma come condizione per un agire morale e umano.

Pensare è un esercizio di libertà e responsabilità, che permette di resistere alla delega passiva del proprio giudizio a “influencer” o a sistemi algoritmici. Solo così la scuola può formare cittadini protagonisti, capaci di affrontare la complessità del mondo con consapevolezza e spirito critico.

Una scuola per la complessità e la libertà

In definitiva, il compito della scuola oggi è quello di coltivare una conoscenza che nasce dall’incontro vivo con la realtà, che si alimenta di ferite e domande autentiche, e che si costruisce nel dialogo e nella relazione con gli altri. È necessario liberarsi dalla tentazione dell’accelerazione e dell’accumulo sterile di informazioni, per dedicare tempo e cura alla crescita del pensiero e della persona.

Seguendo Hannah Arendt, la scuola può diventare un luogo di umanità, capace di resistere al narcisismo e all’omologazione algoritmica, e di formare cittadini liberi, pensanti e responsabili.     

*Pedagogista, Presidente Nazionale ANPE

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