Scuola e politica/1. Da Veltroni a Franceschini

Il passaggio del PD dal modello “a vocazione maggioritaria” di Veltroni a quello più marcatamente identitario di Franceschini (Giovanni Sartori lo definisce “partito testimone” sul Corriere della Sera del 13 marzo 2009) si riflette nei diversi ambiti della politica, e anche in quello della politica scolastica, determinando un inasprimento del confronto con il governo, con posizioni più “intransigenti” all’interno dell’opposizione, che potrebbero determinare ripercussioni dello stesso tipo anche nella maggioranza che sostiene il governo.

Il modello di partito dell’ex segretario del PD, non a caso eletto a seguito di elezioni primarie con vasta partecipazione popolare, puntava sull’allargamento del consenso tra gli elettori moderati, e per questo aveva pagato il prezzo di una rottura radicale con la sinistra massimalista – assai presente e attiva nel mondo della scuola – a livello sia politico che sindacale.

A impersonare questa linea moderata e dialogante, in qualità di ministro ombra dell’istruzione, Veltroni aveva chiamato la cattolica (ex popolare ed ex Margherita) Mariapia Garavaglia, non senza suscitare riluttanze e malcontento soprattutto tra gli ex diessini. In più occasioni, senza mancare all’occorrenza di fermezza e di vivacità polemica, la Garavaglia aveva mostrato equilibrio e disponibilità ad entrare nel merito dei problemi, senza aprioristiche contrapposizioni, come si era ben visto in occasione del confronto con Valentina Aprea (Pdl) e Francesco Scrima (Cisl scuola) sul dossier “Risparmi e Qualità” di Tuttoscuola (Roma, 11 settembre 2008).

Con le dimissioni di Veltroni, e il venir meno del suo progetto di allargamento del consenso al centro, questa linea è entrata in crisi.