
Scuola e politica dopo la crisi del patto del Nazareno
“Non mi faccio ricattare, questo governo va avanti, da troppi anni il Paese aspetta le riforme che stiamo facendo”. Così il premier Matteo Renzi ha replicato alla Camera ai partiti (praticamente tutti tranne i due che stanno al governo, Pd e Ncd) che sono usciti dall’aula di Montecitorio avendo ravvisato nella sua decisione di proseguire a oltranza nelle votazioni sulle riforme istituzionali il cedimento a tentazioni autoritarie.
Le votazioni sono continuate e si sono concluse anche in assenza delle opposizioni, che ora fanno appello al presidente Mattarella affinché intervenga a favore del ristabilimento di regole che consentano alle diverse forze politiche una maggiore partecipazione e condivisione delle riforme istituzionali. Riforme che sono state sostenute anche da Forza Italia fino alla crisi del cosiddetto patto del Nazareno, provocata dal mancato accordo sul nome del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale.
Che conseguenze può portare sulle politiche governative, e in particolare sulla politica scolastica, la rottura del patto? In teoria non dovrebbero esserci conseguenze, nel senso che l’accordo riguardava soltanto le riforme istituzionali e quella elettorale, e non le politiche di settore, sulle quali il partito berlusconiano era già all’opposizione. Ma, almeno per quanto riguarda scuola e università, si trattava di un’opposizione blanda, spesso costruttiva, che ha visto in numerosi casi anche convergenze parlamentari e dichiarazioni, rilasciate dalla responsabile scuola di FI Elena Centemero, collaborative e misurate.
Cosa succederà ora, in un clima politico di così forti contrapposizioni? Quello che è più a rischio è il decreto legge di attuazione delle parti più significative del piano ‘La Buona Scuola’: l’assunzione dei 148.000 ex Gae e soprattutto il nuovo stato giuridico del personale docente. Un fronte unito di tutte le opposizioni parlamentari, e di praticamente tutti i sindacati, contro il meccanismo degli scatti di competenza minerebbe alla base l’edificio della ‘Buona Scuola’. L’interesse del governo – perfino di un governo iperdecisionista come quello guidato da Matteo Renzi – sarebbe quello di dividere le opposizioni e i sindacati, non quello di compattarli contro le sue politiche.
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