Scuola e identità nazionale/2. La scuola ignorata

Con un lungo, incalzante editoriale intitolato ‘Che errore ignorare la scuola’ (Corsera, 6 novembre 2015) Ernesto Galli della Loggia torna su un tema – quello dell’identità debole del nostro Paese – al quale ha dedicato i suoi studi (è docente di Storia contemporanea) e la sua intensa attività pubblicistica, individuando la principale causa di tale debolezza “nella crisi profondissima che in Italia ha colpito da decenni (insisto: da decenni) la scuola, la quale – stante il forte indebolimento dell’istituto familiare, dell’influenza religiosa e la fine del servizio di leva – è divenuta da molto tempo l’agenzia primaria se non unica del disciplinamento sociale degli italiani: con esiti che sono sotto gli occhi di tutti”.

E che sono, a suo avviso, disastrosi da più punti di vista: in primo luogo per il mancato rispetto della disciplina (orari, regole, comportamento) da parte degli alunni, in ciò incoraggiati da genitori troppo protettivi e da insegnanti troppo permissivi; in secondo luogo per la caduta verticale dell’autorità degli insegnanti, che spesso per quieto vivere tollerano di essere irrisi o addirittura insultati dagli alunni senza che a carico dei responsabili vengano irrogate sanzioni adeguate; in terzo luogo per le conseguenze nefaste provocate dal fatto che la politica “salvo occuparsi di assicurare posti di lavoro ai ‘precari’ – abbia deciso da tempo di rinunciare ad ogni suo ruolo direttivo, a qualsiasi intervento effettivamente di merito, preferendo affidarsi a un vuoto didatticismo e ai ritrovati tecnici della telematica nonché alla famigerata ‘autonomia scolastica”, che si è tradotta nell’isolamento autoreferenziale delle scuole.

Galli della Loggia non spende neanche una parola per la ‘Buona Scuola’, che giudica evidentemente inidonea a invertire il trend pluridecennale verso l’entropizzazione del sistema scolastico italiano. Non sarà la legge 107/2015 a ‘cambiare verso’ alla scuola, a farne finalmente quella ‘scuola della Nazione’, sulla quale impiantare una più forte e condivisa identità nazionale,  che l’Italia non ha mai avuto, o comunque non ha “da decenni”.

È giustificato il pessimismo dell’editorialista del Corriere della Sera? Si vedono nella scuola italiana solo le ombre del crepuscolo senza ritorno verso il quale essa sarebbe a suo parere avviata? A quali condizioni potrebbe svolgere quel ruolo di istituzione ‘della Nazione’, super partes, che il premier Renzi ha comunque sempre evocato, fin dall’inizio della sua carriera politica in campo nazionale?