Ritorno in classe a settembre: ecco perché ridurre il tempo scuola non è una buona idea
Tra mercoledì e giovedì sono attese le linee guida per il ritorno a scuola e intanto si parla sempre più con insistenza di riduzione dell’orario di lezione per il ritorno a scuola in sicurezza a settembre. Se questa ipotesi vorrà significare una maggiore flessibilità dello svolgimento delle attività didattiche (peraltro già prevista dall’articolo 4 del regolamento dell’autonomia scolastica di vent’anni fa) non si può che essere d’accordo. Ma, se invece la riduzione della durata delle lezioni sottende la proposta di ridurre il tempo scuola complessivo degli alunni, non si può essere d’accordo.
Con la ripresa delle attività didattiche la scuola ha bisogno semmai di potenziare quantitativamente e qualitativamente la sua offerta formativa, anche per recuperare quanto perduto quest’anno.
Da marzo a giugno, a causa del Covid – 19, si sono perse 190 milioni di ore di lezione in presenza, e, nonostante la didattica a distanza, molte di quelle ore si sono perse definitivamente, a svantaggio di milioni di alunni molti dei quali, per cause varie, ne sono rimasti parzialmente o totalmente privi.
È certamente lodevole la previsione di dedicare le prime settimane di lezione del prossimo anno al recupero degli apprendimenti i cui livelli sono stati valutati non sufficienti negli scrutini finali dei giorni scorsi, ma c’è anche da recuperare un sommerso di apprendimenti non conseguiti di cui gli insegnanti sono ben consapevoli, anche se non li hanno formalizzati nelle valutazioni finali.
Il recupero degli apprendimenti diventa un’esigenza sostanziale per tutti gli alunni; un recupero che non può essere compromesso da tempi ridotti al minimo.
La quantità di tempo scuola diventa anche funzionale all’approfondimento dei contenuti disciplinari e all’individualizzazione delle competenze, con conseguente qualificazione dell’intera offerta formativa.
Senza considerare che il minor tempo scuola finirebbe anche per penalizzare moltissime famiglie impossibilitate ad assistere i figli (in particolare i più piccoli), come avvenuto nel lockdown imposto dal coronavirus. Ridurre il tempo scuola equivarrebbe a impedire la riqualificazione del servizio e ad accentuare la differenza dei livelli di competenza tra gli alunni, con aumento della povertà educativa.
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