Riforme della scuola: l’autodifesa del ministro Bianchi

Attaccato da ogni parte per le riforme della scuola introdotte dal decreto-legge 36 (già convertito nella legge 79), il ministro Bianchi ha preso posizione pubblica, inviando nei giorni scorsi una lettera al direttore del Corriere della Sera, tacendo, ovviamente, sui due recenti clamorosi contrasti con gli esperti che in questi mesi lo avevano sostenuto nella ricerca condivisa delle innovazioni, ma che sono rimasti sostanzialmente ignorati dal suo ministero in sede di attuazione.

Ci riferiamo sia alle dimissioni del consulente Mario Ricciardi che aveva condiviso con Bianchi le linee dell’atto di indirizzo per il rinnovo del CCNL della scuola, sconfessate sostanzialmente dal DL 36, sia alla pesante critica da parte di un gruppo di esperti verso il decreto 170 per l’assegnazione dei fondi per la dispersione, disposta secondo criteri che hanno ignorato quelli proposti dallo stesso gruppo e che sembravano condivisi dal ministro.

In effetti, come è nel suo stile, Bianchi, nella lettera ha scelto di parlare di riforme del futuro, ignorando le problematiche attuali del suo ministero, compresa anche quella del reclutamento con i concorsi attuali in fase di affannoso svolgimento e con previsione di ulteriore riforma definita nello stesso DL 36.

Ha evidenziato due tematiche di fondo del decreto-legge: la formazione iniziale (futura) dei docenti della scuola secondaria e la formazione incentivata (futura) dei docenti attualmente in servizio.

Per la prima, si tratta di una riforma che vuole essere “una risposta ai tanti giovani che vogliono insegnare e chiedono regole certe. Prevediamo un percorso universitario di 60 crediti, aggiuntivi rispetto alla laurea magistrale, che comprende un periodo di tirocinio a scuola, seguito da una prova di abilitazione all’insegnamento. Questa permette di accedere al concorso per entrare nella scuola pubblica oppure di insegnare in una scuola paritaria”.

Bene questo impianto che semplifica anche il contestuale conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento; tuttavia, il ministro sembra ignorare che l’attrattiva all’insegnamento per i futuri laureati (che si dovrebbe concludere non prima di tre o quattro anni) passa prima di tutto dal valore della retribuzione che attualmente attrae i migliori laureati verso altri settori diversi dalla scuola.

Nella sua lettera il ministro parla anche di formazione incentivata, una riforma futura che dovrebbe entrare a regime nel 2026 e che “introduce poi un’importante novità: percorsi di formazione e valutazione incentivata, di durata triennale, previsti non soltanto per potenziare le conoscenze di base e pedagogiche … Questi percorsi prevedono un incentivo, che richiederà una valutazione da parte dei comitati già presenti nella scuola, che potrà essere fino al 20% dello stipendio e costituisce pertanto una valorizzazione del merito”.

Il ministro tace, tuttavia, che il PNRR prevede(va) non la corresponsione di un una tantum, bensì una riforma vera e propria della carriera dei docenti (che in sede di conversione del DL 36 aveva inizialmente una parvenza – poi annullata – di passaggio anticipato nella progressione di anzianità).

Inoltre, non considera che la scelta di premiare solamente chi partecipa ai tre anni di formazione esclude molti insegnanti meritevoli e impegnati che, pur senza quella formazione, continuano ad assicurare qualità formativa ai loro alunni. 

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