Referendum 4 dicembre: vince il no, Renzi si dimette. E per la scuola?

Referendum: il no ha vinto, ma le cose per la scuola italiana dovrebbero cambiare poco, almeno nel breve periodo. In primo luogo perché la legge 107 è nella fase della sua implementazione sia sul piano normativo, con l’imminente varo dei decreti legislativi, sia su quello amministrativo, con le complesse ma impellenti misure relative alle questioni riguardanti il personale, dalla mobilità ai concorsi al nuovo contratto.

Referendum 4 dicembre: vince il no, Renzi si dimette – La maggioranza parlamentare che sostiene in Parlamento il governo Renzi resterà la stessa fino alle future elezioni, e sembra improbabile – a meno di sconvolgimenti dello scenario politico – che le linee essenziali del programma governativo possano cambiare: anche ora che ci troviamo in prevalenza del no perché, nonostante le dimissioni di Matteo Renzi da presidente del Consiglio, lui resta comunque segretario del PD e kingmaker del suo eventuale successore. Questo, presumibilmente, fino alle elezioni del 2018.

Referendum 4 dicembre: vince il no, ma guardiamo oltre – Restano in ogni caso aperte le grandi questioni di fondo che riguardano la qualità e l’equità del nostro sistema formativo, e che sono state messe in luce da tempo dalle indagini comparative internazionali, e ancora in questi giorni dal Censis e dalle recenti statistiche dell’ISTAT: mismatch tra output del sistema formativo e fabbisogni del mondo del lavoro, elevatissimi tassi di dispersione scolastica e di Neet (primi in Europa!), bassa propensione e scarsi tassi di partecipazione degli adulti alla formazione continua, gravi squilibri territoriali nella qualità dell’offerta formativa, ritardi nella (ri)qualificazione del personale docente e in generale insufficiente spinta all’innovazione, malgrado le non poche (per fortuna) isole e iniziative d’eccellenza che caratterizzano la scuola italiana. Tutte tematiche che possono essere affrontate solo in un’ottica di investimento e programmazione di medio-lungo periodo. L’auspicio è che di ciò siano (o si rendano) consapevoli coloro che saranno chiamati a governare il Paese nei prossimi anni, ben oltre il referendum del 4 dicembre 2016.