Rapporto Invalsi 2025/2. Ma la dispersione implicita si può misurare?

Come si fa a quantificare la dispersione implicita? A differenza della dispersione esplicita, che è legata all’abbandono scolastico, facilmente rilevabile dall’andamento delle iscrizioni (ma anche su questo dipende dall’indicatore utilizzato, e ci sarebbe da discutere), la dispersione implicita, secondo il modello proposto da Roberto Ricci, si fonda sui risultati dei test standardizzati Invalsi in italiano e matematica. Ed è giusto che l’Istituto nazionale di valutazione utilizzi e approfondisca i propri indicatori.

Ma va ricordato che sull’esito delle prove incide una serie di fattori di varia natura, da quelli economici a quelli socio-culturali, dai metodi didattici a motivi più legati alla personalità individuale. Una valutazione sommativa, cioè istantanea, come quella basata sui test alla fine dell’anno, può essere influenzata da circostanze contingenti, ad appare meno affidabile di quella formativa.

È noto, inoltre, che i test tendano a misurare prevalentemente le competenze logico-matematiche e verbali, rischiando di trascurare o svalutare altre forme di intelligenza, attitudini e capacità. Ma le competenze logico-matematiche e verbali afferiscono solo a due tipologie di intelligenza, quella linguistica e quella logico-matematica, che sono più facilmente misurabili attraverso i test.

Esistono però altri tipi di intelligenza: secondo l’Howard Gardner di Frames of Mind e Formae Mentis almeno altre sei: spaziale (di chi sa pensare e elaborare immagini visive), corporeo-cinestetica (quella degli atleti, o dei ballerini), musicale (dei musicisti), interpersonale (di chi ha attitudine a interagire con altri), intrapersonale (capacità di introspezione), naturalistica (attitudine a interagire con il mondo naturale). 

I test, che prevedono risposte chiuse, o multiple ma con un’unica soluzione corretta, per quanto ben fatti non si prestano evidentemente a valutare nitidamente la creatività, il pensiero laterale o divergente, la disposizione a trovare soluzioni innovative a problemi complessi. Servirebbero modelli non standardizzati capaci di stimolare e rilevare i risultati ottenuti dai possessori di questi altri tipi di intelligenza.

Andrebbe incoraggiata la ricerca educativa di carattere eminentemente psico-pedagogico (magari sostenuta dalle nuove tecnologie informatiche, che si prestano alla personalizzazione della didattica), in alternativa al mainstream valutativo dominante, che è quello imposto di fatto dagli USA e dai loro economisti dell’istruzione negli ultimi 30 anni, teso a quantificare e misurare coi test le tre performance di base ritenute efficaci indicatori di un futuro di successo economico degli studenti e dell’intera società: lettura (reading literacy), matematica (mathematical literacy) e scienze (scientific literacy). Tutto molto subordinato alla ricerca dello sviluppo economico (del resto le ricerche standardizzate sono finanziate dall’OCSE, dalla Banca mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale), non di quello civile e sociale…. 

Forse l’Europa sarebbe più attrezzata, col suo ricco patrimonio culturale e la sua tradizione umanistica, a elaborare modelli valutativi alternativi a quelli test-dipendenti. Forse.

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