Quando cambia il dirigente scolastico: il tempo sospeso della comunità educante

Il cambiamento è una costante in ogni sistema umano, e la scuola non fa eccezione. Ogni persona, nel proprio vissuto quotidiano, sperimenta una continua evoluzione che determina la costruzione dell’identità individuale e collettiva. Vi sono, tuttavia, momenti di discontinuità che si impongono come snodi critici nel fluire ordinario degli eventi. Questi momenti, per la loro intensità e portata simbolica, hanno la capacità di ridefinire l’immagine di sé e del gruppo. In ambito scolastico, uno dei cambiamenti più significativi è il passaggio di leadership. Quando un dirigente scolastico lascia il proprio incarico, l’intera comunità educante è coinvolta in un processo di ristrutturazione emotiva, relazionale e organizzativa. Tale evento attiva dinamiche complesse che non si limitano alla sostituzione funzionale, ma investono il piano della percezione collettiva, del clima scolastico e della cultura professionale sedimentata nel tempo.

La figura del dirigente rappresenta, infatti, un punto di riferimento centrale, non solo per le funzioni gestionali, ma anche per il carico simbolico e affettivo che incarna. La sua presenza influenza la stabilità dei gruppi di lavoro, la coerenza dei progetti formativi, la qualità delle relazioni interpersonali. Per questo motivo, ogni cambiamento di vertice assume le caratteristiche di una transizione complessa, che richiede strumenti adeguati di accompagnamento e rielaborazione. L’assenza, soprattutto se improvvisa o non condivisa, può generare vissuti di incertezza e destabilizzazione, con effetti a cascata su tutti i livelli dell’organizzazione scolastica. Tale momento critico richiede una lettura sistemica e partecipata, capace di dare voce a chi resta e si confronta con la sfida della continuità: docenti, personale amministrativo, collaboratori e famiglie. Comprendere e sostenere queste dinamiche significa promuovere la resilienza della comunità scolastica, rafforzandone la capacità di trasformare una fine in un nuovo inizio. Valorizzare la memoria istituzionale, rinsaldare la coesione interna e rinnovare una visione educativa condivisa diventa, allora, il cuore di un processo trasformativo che riguarda tutti gli attori della scuola.

Un cambiamento che scuote le fondamenta

Quando un dirigente scolastico decide di lasciare l’incarico o viene trasferito, non cambia soltanto una firma in calce ai documenti o un volto nel corridoio principale. Si modifica l’assetto emotivo e organizzativo della scuola, si apre una fase di instabilità che coinvolge profondamente l’intera comunità educante. Gli insegnanti, il personale ATA, gli educatori, lo staff di presidenza e le famiglie vivono questo momento come una transizione non neutra, che solleva interrogativi, paure e un bisogno di riorientamento. Il cambiamento di vertice richiama infatti una revisione implicita di abitudini consolidate e relazioni professionali, mettendo in discussione certezze maturate nel tempo. Come afferma Edgar Morin, “la complessità non è la complicazione, ma l’intreccio dei legami”. E proprio questo intreccio viene scosso da ogni passaggio di guida. La scuola, nella sua quotidianità, è una trama delicata di relazioni umane che fioriscono attorno a un centro simbolico. Quando questo centro cambia, anche l’equilibrio interno deve ridefinirsi. Le aspettative nei confronti della nuova guida si intrecciano con la difficoltà di lasciar andare ciò che era, creando un doppio movimento emotivo tra nostalgia e speranza.

La dimensione emotiva del distacco

Per molti insegnanti, il dirigente rappresenta molto più di una figura amministrativa. È il garante della visione educativa, colui o colei che sostiene o limita l’autonomia didattica, che valorizza o ignora il talento. La sua presenza influisce sul clima scolastico e sulla percezione di sicurezza relazionale. Quando questa figura si allontana, anche solo per scelta naturale di percorso, si riattiva un vissuto di vuoto, talvolta di lutto, che tocca le radici affettive del lavorare insieme. Il legame tra insegnanti e dirigente si costruisce nel tempo, attraverso esperienze condivise, difficoltà affrontate in comune, successi celebrati e progetti nati dal confronto. Il distacco, quindi, non è mai soltanto funzionale ma anche personale, emotivo, talvolta persino corporeo, perché incide su uno spazio vissuto quotidianamente. Lo stesso personale scolastico può sperimentare forme di regressione emotiva quali senso di spaesamento, nostalgia, bisogno di rassicurazione, timore per il futuro. Questi sentimenti, se non riconosciuti, rischiano di generare chiusure, resistenze e conflitti silenziosi. Carl Rogers ci ricorda che “le persone sono fiori da non calpestare mai”. Anche nei cambiamenti organizzativi, va custodita la fragilità emotiva di chi li vive. Prendersi cura delle emozioni di chi resta è un atto di responsabilità collettiva. Serve tempo per metabolizzare, per trovare parole nuove, per riadattare i significati. Ed è proprio nella capacità di accogliere questo tempo che si misura la maturità relazionale di una scuola.

La scuola come organismo relazionale

Ogni scuola costruisce nel tempo una rete fitta di relazioni, non solo tra i soggetti, ma tra le idee, le prassi, le abitudini e i valori. Il dirigente è spesso il punto di equilibrio di questa rete. Quando va via, la comunità scolastica si trova a dover rinegoziare gli equilibri interni, ridefinire ruoli, ridare senso ai progetti. Il sistema scolastico non è statico ma è un organismo in continuo adattamento, dove ogni elemento influenza l’altro. In questo contesto, la dimensione relazionale si rivela non un accessorio, ma la struttura portante del vivere scolastico. Lo staff, in particolare, vive una pressione emotiva intensa. Chi ha collaborato strettamente con la dirigenza sperimenta un senso di disorientamento, perché viene meno una guida, ma anche una visione comune del lavoro. In questa fase, è cruciale il ruolo del gruppo che deve sostenersi, ascoltarsi, mantenere viva la memoria di ciò che ha funzionato e aprirsi al nuovo senza rigetto. È in queste dinamiche di rinegoziazione che emerge la forza o la fragilità della cultura scolastica. Come afferma Margaret Wheatley, “le relazioni sono la vera struttura portante di ogni organizzazione”. Quando le relazioni sono salde, anche i cambiamenti più difficili possono essere affrontati senza traumi. Una scuola coesa è in grado di rigenerarsi, costruendo ponti tra passato e futuro attraverso la continuità dei valori condivisi.

La leadership distribuita come risposta

Nelle scuole dove si è investito sulla leadership diffusa, il cambiamento del dirigente è vissuto con meno drammaticità. La responsabilità condivisa consente alla scuola di reggere meglio i passaggi di testimone, grazie a una cultura professionale consolidata e a una capacità di resilienza interna. La leadership distribuita, infatti, permette di affrontare i momenti di vuoto non come una crisi, ma come una fase fisiologica di riorganizzazione. In questi contesti, la presenza di team affiatati, di coordinamenti ben strutturati e di una comunicazione chiara e trasparente rappresenta un argine contro lo smarrimento. Tuttavia, l’assenza di una figura di riferimento può ancora generare insicurezza, soprattutto nei momenti di scelta e nella gestione delle emergenze. In questi frangenti, l’efficacia dell’interazione tra le figure intermedie, come collaboratori del dirigente, funzioni strumentali e coordinatori, può fare la differenza. Occorre allora attivare strumenti di supporto organizzativo e psicologico, spazi di dialogo e momenti di condivisione che permettano di elaborare l’esperienza e mantenere la rotta verso l’obiettivo educativo. Una scuola che sa funzionare anche in assenza del suo vertice ha già vinto una sfida culturale importante. Ha dimostrato di essere una comunità capace di auto-sostenersi e di rigenerarsi.

L’attesa e la fiducia nel futuro

Il tempo che separa l’uscita del vecchio dirigente dall’arrivo del nuovo è un tempo sospeso, fatto di attese, di aspettative e talvolta di idealizzazioni. In questo vuoto possono nascere narrazioni contrastanti, proiezioni, speranze e paure. Le famiglie osservano con attenzione, i docenti si interrogano, il personale spera in una continuità che a volte è impossibile garantire. Ma proprio in questo spazio incerto si gioca la maturità di una comunità educante. È qui che si misura la capacità di rimanere fedeli alla propria missione anche in assenza di certezze. Saper affrontare il cambiamento con consapevolezza, accogliere il nuovo senza dimenticare il cammino fatto, restare fedeli alla missione educativa nonostante il cambio di guida. In questo senso, la scuola diventa spazio di resilienza collettiva, luogo in cui si coltiva la fiducia nel futuro senza rimuovere le fatiche del presente. È qui che si misura la forza reale di una scuola, nella capacità di essere più grande delle sue singole parti. Come scrive Italo Calvino, ” Prendi la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”. Anche il cambiamento richiede questo sguardo ampio, questa leggerezza responsabile che permette di accompagnare la transizione senza perdersi. Coltivare una visione educativa a lungo termine significa abbracciare l’incertezza con la forza della coesione e del progetto comune.

Conclusione

Quando un dirigente cambia, la scuola cambia con lui. Ma se la comunità educante ha saputo costruire negli anni un’identità condivisa, allora il cambiamento può diventare occasione. Per crescere, per ripensarsi, per rigenerarsi. Non è mai facile lasciare o essere lasciati. Il rischio di irrigidirsi nel rimpianto o di idealizzare il passato è sempre presente. Ma è nella qualità del saluto e nella cura della transizione che si rivela la profondità del legame. Salutare non significa solo congedarsi, ma trasmettere valori, raccontare un cammino, offrire continuità al senso educativo. Una scuola che sa salutare è una scuola che sa vivere. E la speranza che ogni fine sia, ancora una volta, un inizio. La capacità di trasformare il cambiamento in crescita è ciò che rende una comunità educativa veramente viva, capace di affrontare il tempo non come minaccia ma come opportunità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA