La scuola che vince si racconta in un podcast. Guarnieri: ‘La vera differenza la fanno i dirigenti scolastici’

A Modena la scuola che allena i talenti di ogni studente e quella dove ognuno impara secondo la propria velocità. A Roma l’Istituto tecnico industriale che prepara meglio di un liceo. A Bergamo e a Napoli le alleanze tra scuole, città e territorio che cambiano luoghi e persone. A Bassano del Grappa la bellezza di aule, corridoi e laboratori che portano benessere e felicità. Da incontri, luoghi e innovazioni partono le storie che animano le cinque puntate di “Sbanco – Chi cambia vince”, il podcast di Radio1 di Paola Guarnieri, giornalista esperta di scuola e di formazione, che racconta quel cambiamento che le scuole stanno portando avanti modificando spazi, didattica, organizzazione e relazioni. E smontando vecchi paradigmi per trasformarsi in luoghi dove si coltivano passioni e si progetta il futuro. Tuttoscuola l’ha intervistata, ecco cosa ci ha raccontato.

Sbanco – Chi cambia vince. Perché per vincere oggi alla scuola serve un cambiamento?

“La metterei al contrario, nel senso che la riflessione che ho fatto io è che cambiare conviene, oltre ad essere quasi un imperativo. Noi abbiamo una scuola che per tanti versi ha ancora una impostazione gentiliana, una visiona anacronista. Per cambiare ci vuole coraggio, fatica, allora la mia idea è stata quella di mostrare che cambiare conviene, perché fa vincere. Gioco con il doppio significato di ‘sbanco’, ossia quello di uscire dal banco, perché ribaltare schemi, paradigmi, teorie, fa vincere, quindi ‘sbancare’. Quando ci riesci, il ritorno che ne hai in termini di apprendimento e benessere è impareggiabile e spero che questo si senta nelle varie puntate”. 

Tu hai preso degli esempi di realtà virtuose in Italia e le hai raccontate in un momento in cui è il brutto, il problema a fare la notizia: la prof assenteista, il bullo arrogante, il genitore che picchia il preside… Stai insomma provando ad invertire la rotta raccontando alle persone la scuola bella, buona, che funziona… Hai avuto coraggio, ma come ti è venuta questa intuizione? E’ una scelta che paga?

“E’ una scelta che paga, sì, nel senso che sono io la prima che trae vita, gioia ed entusiasmo da quello che racconto. Realizzando le diverse puntate del podcast ho incontrato persone che comunicano entusiasmo per quello che fanno, e quell’entusiasmo poi arriva. E’ una scelta che ho fatto quella di raccontare prevalentemente il lato buono della scuola – comunque non tralascio mai i problemi quando ci sono – perché è un punto di vista sulle storie. E questo credo sia il modo migliore per moltiplicare le energie positive, che è quello che alla fine mi interessa. Dal momento che i problemi sui quali si concentrano i giornali sono gli stessi da decenni, e che è vero che vanno risolti, bisogna interrogarsi sul come risolverli. Intanto provando a cambiare il punto di vista. Se questi problemi ci sono da decenni è perché le soluzioni proposte a tutti i livelli non vanno bene, stiamo sbagliando il modo di guardare le cose. Come giornalista, non potendo fare leggi, posso provare a fornire un altro punto di vista. Ecco perché ho scelto di mostrare la parte positiva. Anche se di problemi, anche nelle realtà che racconto, ci sono, ma cambia lo sguardo con il quale si guardano e si affrontano”.

Purtroppo, come ho appena accennato, stiamo vivendo un momento di sfiducia nei confronti della scuola da parte di una bella fetta di società. Perché, secondo te, la scuola ha perso parte della sua credibilità?

“Mi prendo la mia responsabilità come parte della categoria giornalistica: anche io mostravo la scuola come fanno tanti colleghi, perché non avevo tempo di andare a fondo. Poi ho iniziato a studiare perché, come in tutte le cose, serve competenza anche per raccontare. Chi fa la comunicazione ha una sua responsabilità, ma a monte del problema ci sono le scelte che hanno impoverito la scuola perché non si è avuto lo sguardo abbastanza lungo nell’immaginarla come una possibilità, un luogo in cui si costruisce il futuro. Non si è considerata la scuola come meritava. Intorno poi c’è una società che è cambiata molto e dinamiche che nessuno ha saputo governare. E la scuola ha pagato: è stata considerata marginale da molti e queste sono le conseguenze”.

Cambiare la scuola dall’alto, con gli interventi del governo è difficile, e spesso quello che è stato fatto non è stato sufficiente. Quindi l’unica soluzione è un cambiamento dal basso?

“Cambiare dall’alto è difficile perché per molto tempo sono stati usati schemi macroscopici per intervenire dove la realtà si è andata parcellizzando e questo imponeva interventi di taglio minori. Probabilmente il ministero non può andare a definire, scuola per scuola, cosa va fatto e cosa no, lì serve il singolo dirigente scolastico. Il ministero può intervenire sulle ‘grandi linee’, ma non può fare tutto da solo, ognuno ha la sua responsabilità. In una scuola è il dirigente che fa la differenza“. 

Ma cambiare dal basso è davvero possibile, quindi, o queste realtà che racconti sono destinate a restare esempi virtuosi, ma isolati?

“Io spero che le realtà che racconto si moltiplichino, è questo lo scopo del mio podcast. In questi anni è già accaduto. Già oggi molti considerano la propria professione non più solo come un lavoro, ma come una vera e propria missione. Certo si rimane ancora sui numeri piccoli. Dobbiamo considerare due forze che devono lavorare insieme, una dall’alto e una dal basso. Io continuerò a raccontare le belle storie dal basso con la speranza che si moltiplichino. Molti insegnanti che ascoltano il podcast, quando riesco a metterli in contatto tra loro, mi dicono: ‘Io vengo qui e mi sento meno solo o meno sola’. Ecco il senso del podcast è anche quello di creare una rete, di farsi forza reciprocamente. Perché il cambiamento richiede tanta fatica”. 

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