Non è vero che una scuola che boccia molto è una scuola seria

Sul tema dell’inutilità delle bocciature, ci ha scritto un lettore, Vinicio Gandossi, la cui email volentieri pubblichiamo.

Invitiamo gli altri lettori a inviarci le loro opinioni sul tema (o su altri temi nuovi da proporre), scrivendoci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

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Egregio Direttore,

in vista dei vari “open day” che le scuole organizzano per farsi conoscere sia come strutture che come organizzazione didattica e risorse professionali per sollecitare  l’adesione alla loro offerta formativa, mi sembra utile  proporre ai genitori e agli studenti qualche provocazione e  qualche riflessione prima della scelta.

Innanzitutto suggerirei di eliminare il diffuso luogo comune  che una scuola che boccia molto è una scuola seria. Io penso, al contrario,  che una scuola che non ammette direttamente alla classe successiva dal 40 al 60%  degli alunni di una classe prima è una scuola poco efficiente ed efficace: secondo me non  fa le cose nel modo giusto(efficienza)  o  non fa le cose giuste(efficacia)! Com’è possibile che, in molti casi, più della metà di una classe non riesca ad apprendere una materia ed  ottiene un tasso di profitto così  scarso o gravemente insufficiente? Dobbiamo seriamente riflettere , dirigenti, insegnanti e genitori, sul perché molti alunni non  riescono ad apprendere; non seguono le lezioni; non studiano né fanno i compiti a casa; raggiungono in pochi la sufficienza nelle interrogazioni. Anche  perché non è  accettabile sentirsi dire  dai professori che è colpa degli alunni che  non hanno voglia di studiare, motivando così gli scarsi risultati dell’ insegnamento.   Di fronte ad esiti tanto negativi, il dirigente scolastico, i professori, i genitori stessi  si sono posti qualche domanda? Hanno cercato di  trovare qualche seria risposta? 

Forse è il caso, da parte dei professori , di rivedere criticamente il piano di studio, il percorso di insegnamento,  le tappe, i tempi, i contenuti a partire da una valutazione delle competenze e delle conoscenze iniziali della propria classe. Forse sono stati utilizzati  strumenti  e modalità di verifica inadeguati  o non  calibrati  sul programma predisposto e sugli obiettivi di apprendimento previsti  o ci si è applicati su contenuti troppo complessi o difficili rispetto alle competenze  rilevate inizialmente . Si tratta di situazioni e condizioni di apprendimento che vanno attentamente considerate, analizzate  e valutate. E’ un compito individuale e collegiale, oserei dire un dovere della scuola intesa come istituzione formativa. Io sono molto convinto che la qualità di una scuola dipenda fondamentalmente dalla didattica, cioè da come si insegna una materia.

Istruire, specie negli istituti professionali, non è selezionare: al contrario è sforzarsi di far riuscire tutti e a scuola lottare contro la distribuzione gaussiana delle attitudini come modello di selezione. I professori sanno per esperienza che in una classe gli alunni di media capacità sono la maggioranza e che gli eccellenti sono rari. Ma generalmente  nella mente dei professori si  verifica una singolare distorsione: si considera quella ripartizione delle attitudini come pronostico dei risultati finali in modo tale che accade davvero: pochi eccellenti, molti medi e mediocri,  più o meno sufficienti,una percentuale variabile di bocciati.

Questo accade perché  il livello dell’insegnamento è mediamente difficile anche se permette ai migliori di realizzare le loro possibilità; ma la difficoltà “media” è determinata dalla media delle attitudini della classe  e non da una media delle difficoltà oggettive dei contenuti da insegnare. Così si spiegano le notevoli differenze del livello medio a seconda delle  le classi o delle scuole. In queste condizioni se un professore fa lo stesso corso a tutta la classe è normale che la curva delle conoscenze acquisite è la stessa curva delle attitudini, la cosiddetta “Curva di Gauss”, che è uno strumento di valutazione che si presta bene  alla selezione . Ma così,l’insegnamento , adempie alla sua funzione, che è quella di sforzarsi di far riuscire tutti o il maggior numero possibile di alunni in ciascuna classe?

Valutare gli alunni è un’operazione fondamentale nella scuola, ma non basta. I livelli del loro profitto  sono i concreti  indicatori dell’efficacia dell’insegnamento e delle condizioni in cui si  svolge, ma non dipendono  tanto o soltanto dalla voglia o non voglia di studiare o dalla diversa attitudine degli studenti: dipendono decisamente e soprattutto dalla metodologia didattica adottata, cioè dal modo di insegnare una materia, da  come si motivano e si appassionano gli alunni allo studio di quella materia. In  sintesi ,dalla bravura personale dell’insegnante . Non basta sapere una materia: bisogna saperla insegnare . Io credo che ci sia un buon numero di insegnanti, eccellenti conoscitori della loro materia, che talvolta bene  esercitano  anche come attività professionale fuori dalla scuola, ma che non adottano  didattiche efficaci; che non usano quasi mai mediatori didattici non verbali;  che fanno la solita lezione e parlano e parlano senza rendersi conto che dopo 20 minuti si abbassano  sensibilmente i livelli di attenzione e subentra la noia;  insegnanti che utilizzano raramente materiali e sussidi audiovisivi o informatici; che interagiscono raramente o quasi mai  dialogano criticamente con gli alunni e non sanno sollecitare la  mente e il cuore; che non sostengono  nè aiutano i meno capaci e non si sforzano di far riuscire tutti, convinti che la scuola debba selezionare i migliori.  E’ questo il grave equivoco,  in cui molti insegnanti della scuola secondaria superiore perseverano. Altri,  invece , cadono in un altro equivoco: si rassegnano alla cosiddetta “pedagogia della clemenza”, cioè  ad un’accettazione rassegnata dei risultati del proprio insegnamento e spesso sbagliando,  ammettono alla classe successiva anche l’alunno impreparato, come se volessero escludere la propria responsabilità educativa o incolpando, specie nelle classi prime,  l’ambiente famigliare o sociale, oppure le carenze della scuola precedente e non  vogliono capire la necessità di rivedere il proprio modo di insegnare e di valutare. La qualità di una scuola  e la motivazione allo studio dipendono  assolutamente dalla qualità degli insegnanti.

Io spero  che  prima di iscrivere i propri figli ad una scuola i genitori  vogliano e possano conoscere  oltre che l’organizzazione,gli spazi, le risorse,  le strutture e le attrezzature  di cui potranno prendere visione, anche sapere chi sono e quale curricolo hanno i professori di quella scuola, aldilà della pubblicità  promozionale che ciascuna scuola ovviamente si fa per attirare i futuri studenti.

In conclusione, vorrei invitare i genitori  ad informarsi  se e come a fine anno la scuola rende conto dei risultati  ottenuti in modo oggettivo e comprensibile, cioè non autoreferenziale:  la rendicontazione dovrebbe sempre essere  richiesta come atto dovuto. Gli insegnanti che rendono conto individualmente e collegialmente di quanto hanno fatto e sono in grado di legittimare   i motivi di quanto caso mai non hanno fatto ed ottenuto, danno  credibilità alla scuola. Quanto meno, un’immagine di serietà  e di affidabilità.

Vinicio Gandossi, ex dirigente scolastico

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