Non conta l’età ma il talento. Parola di ministro

Si avvertiva quasi la tonalità, il mood di una riflessione a voce alta, con tratti autobiografici, nelle dichiarazioni rilasciate dal ministro Maria Chiara Carrozza a RAI news in una trasmissione andata in onda venerdì scorso.

Ho lasciato tutte le mie ricerche a giovani ricercatori, due dei quali non avevano neanche 30 anni. Ho fatto un atto coraggioso e penso di aver sempre promosso anche il talento. Ma non deve essere la questione anagrafica quella dominante, altrimenti diventa un’altra barriera, deve essere l’idea di vedersi un futuro, di migliorare il mondo in cui siamo.

Detto da un giovane (per gli standard italiani) ministro dell’istruzione, diventata rettore dell’Istituto Superiore Sant’Anna a poco più di quaranta anni, questa presa di distanza da un giovanilismo spesso aprioristico e irriflessivo non può che fare piacere.

Certo, pensava all’università il ministro, al suo mondo di provenienza, quello che meglio ha conosciuto dall’interno (“L’università non ha dato grandi prove di essere capace di riformarsi, siamo arrivati al punto estremo. Adesso l’istruzione superiore deve pensare a dove vuole andare”). Ma la sua riflessione sul talento che non ha età vale in generale, anche per la scuola, dove non è raro vedere insegnanti non giovani lavorare con impegno e con successo.

E perché allora, proprio a partire dalle considerazioni del ministro, non riaprire il capitolo dolente del mancato riconoscimento del talento e del merito per gli insegnanti della scuola italiana? “Il fine ultimo è la qualità dell’insegnamento per lo studente”, ha detto Carrozza nella stessa intervista. Parlava dell’università: “L’università è il luogo in cui si studia e dove lo studente deve imparare e migliorarsi, non un luogo fatto per il se stesso e per i professori”. Ben detto. Vale anche per la scuola.