Mutuo insegnamento, Novara: ‘I ragazzi imparano di più dai propri coetani’. Il ruolo dell’insegnante. INTERVISTA
Visori, tablet e LIM. In questi ultimi anni la scuola si è dotata di diverse tecnologie con lo scopo di migliorare l’interazione e l’attenzione degli studenti. E quindi anche il loro apprendimento. Ma siamo sulla strada giusta? E quale dovrà essere il ruolo dell’insegnante in futuro? Ne abbiamo parlato con Daniele Novara, pedagogista e direttore del Centro Psicopedagogico di Piacenza.
In un’epoca post-pandemica, la scuola – anche grazie al PNRR – si è dotata di tantissime tecnologie con lo scopo di migliorare l’interazione e l’apprendimento degli studenti. Eppure, sappiamo che il modo più semplice ed efficace di imparare passa sempre attraverso l’imitazione… Lei che ne pensa?
“La scuola digitale è un concetto pedagogicamente equivoco: a scuola esistono le tecnologie che supportano il lavoro degli insegnanti nell’organizzazione dell’apprendimento ma queste non potranno mai sopperire la competenza degli insegnanti. La scuola di qualità ruota sempre attorno alla formazione pedagogica e professionale di chi è professionista dell’insegnamento. Ce lo dicono tutte le ricerche internazionali. Oltretutto questi eccessi di tecnologia non permettono che si possa mettere in pratica uno dei pochi comportamenti su cui tutte le neuroscienze concordano: si impara nell’imitazione, si impara nella condivisione con gli altri, si impara nella sincronizzazione neuro cerebrale. Ma questo, per essere efficace, deve avvenire fra soggetti dello stesso livello mentale, non tra bambini e adulti.
In questi anni, purtroppo, invece che promuovere l’imitazione anche nel contesto scolastico, siamo andati verso didattiche estremamente parcellizzate, individuali se non individualistiche. Anche quando si parla di scuola inclusiva, questa deve avvenire (nel limite del possibile) tra compagni e non con il sostegno solo individuale. A esempio, è un errore pensare di affiancare agli alunni che devono imparare meglio la lingua italiana degli insegnanti specifici, l’elemento full immersion coi compagni è in realtà il metodo più efficace”.
La convinzione che gli alunni imparino dalle parole dei docenti è un mito difficile da sfatare. Come fare?
“Sì, è un mito estremamente duro da rimuovere, una pratica inerziale che si tramanda di generazione in generazione e che non fa onore all’istituzione scolastica. Utilizzare in maniera così passiva la lezione frontale, che è uno dei metodi più arcaici e difficili, solo perché i nostri stessi insegnanti lo facevano, rischia di consegnare l’idea che chi insegna sia solo un alunno in cattedra che ripete all’infinito ciò che ha ricevuto lui stesso.
La ricerca pedagogica e psicopedagogica ha fatto passi da giganti ed è veramente mortificante, per chi ama la scuola, trovarsi ancora con la stragrande maggioranza di attività didattica centrata sulla spiegazione frontale. Una metodica che non raggiungerà mai la potenzialità di apprendimento degli alunni che si muovono nel contesto dell’interazione sociale e non dell’ascolto unidirezionale”.
Ma allora che ruolo ha l’insegnante?
“Come ho ribadito nel mio libro ‘Cambiare la scuola si può’, il ruolo dell’insegnante è quello di regista. Non è il depositario delle conoscenze da trasmettere ma è colui che predispone e organizza processi di apprendimento esperienziali usando metodi legati al laboratorio, alle domande maieutiche, alle situazioni stimolo e all’outdoor education. Concetti e metodi che sono il fulcro del mio operato e di quello di tutto il CPP. Offriamo una sponda scientifica dal punto di vista pedagogico a tutti gli insegnanti che amano una scuola dove gli alunni stanno bene, vanno volentieri, imparano e vivono questa esperienza come occasione di emancipazione, di riscatto, di liberazione”.
Guardando al futuro, quali politiche educative o riforme ritiene necessarie per integrare questo tipo di didattica in modo più strutturale?
“So di andare in totale controtendenza rispetto alle idee del Ministro dell’Istruzione, ma ciò che può dare slancio vitale alla scuola è il cambiamento del sistema di valutazione. Oggi è molto rigido, basato sulla cristallizzazione del giudizio, che sia tramite lettere o numeri. Gli alunni vengono valutati per prestazioni performative assolute, senza quasi mai considerare il percorso. Da sempre sostengo il concetto di ‘valutazione evolutiva’, una valutazione che, a prescindere dalla performance estemporanea, valuti l’alunno sulla base dei punti di partenza e di come, rispetto al suo percorso, è riuscito a elaborare processi di apprendimento sul piano del saper imparare, specialmente in forma in forma autonoma, rinunciando a quell’orribile sistema di valutazione nozionistica basata sulle crocette e sulle risposte esatte ancora tanto di moda. Se c’è un passato a cui dobbiamo guardare non è quello di una scuola classista basata sugli assiomi gentiliani ma, piuttosto, quello di maestri e maestre come Lorenzo Milani e Maria Montessori”.
Si apprende quindi anche grazie ai coetanei. È il compagno, specialmente quello con una competenza leggermente superiore, che attiva l’imitazione, permettendo ai bambini e ai ragazzi di riconoscersi in quello che è il loro potenziale di sviluppo. Proprio questo è il tema anche del convegno “A scuola si impara dai compagni” che si terrà il prossimo 31 agosto. Ce ne vuole parlare?
“Siamo ormai alla quinta edizione del nostro convegno pedagogico online di fine agosto. Una iniziativa molto forte che riprende le pratiche in atto nei momenti d’oro della scuola italiana, quando non c’era città che non avesse un momento di incontro formativo prima dell’avvio dell’anno scolastico. Un incontro offerto agli insegnanti come momento di ricarica e come occasione rituale per dire ‘Eccoci, noi professionisti della scuola ci ritroviamo per ripartire e per sentirci parte di una stessa squadra’. Negli ultimi anni manca molto questa dimensione di appartenenza e noi vogliamo offrire a tutte e tutti una possibilità di ritrovarsi, anche se in una forma virtuale. Il tema sarà quello del mutuo insegnamento che non è semplicemente il lavoro di gruppo, ma la cura basilare dell’apprendimento stesso in senso sociale. Fra i compagni, chi ha una conoscenza, un apprendimento, una competenza, la condivide con gli altri che non la dispongono ancora. Questo avveniva già a Barbiana, con Don Lorenzo Milani che assumeva questa pratica con molta determinazione. Il mutuo insegnamento è alla base della nostra scienza e della diffusione della scuola in senso popolare, capace di creare l’entità sociale della classe che ha poi permesso alla scuola di essere quello che conosciamo e di poter dare ancora tanto agli alunni e alle alunne. Per questo invito tutti e tutte a partecipare, proprio perché se ogni insegnante è aggiornato può vivere il proprio lavoro con più soddisfazione, cercando sempre di considerare il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto”.
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