
Maturità 2010/1. Tra rito e mito
Quest’anno, sovrastato da predominanti (mediaticamente) eventi politici e calcistici, l’esame conclusivo degli studi secondari – attuale denominazione un po’ burocratica della vecchia maturità – non ha quasi mai occupato le prime pagine dei giornali e telegiornali, come accadeva fino a pochi anni fa, quando ancora sopravviveva la fama, quasi il mito, di una prova percepita come una forma di iniziazione di massa dei giovani, a conclusione dell’adolescenza.
Forse perché non ci sono state fughe di informazioni, oppure clamorosi errori nei compiti assegnati, o altri fatti di cronaca di qualche rilievo – la normalità non fa notizia – i giornali si sono limitati a dar conto dello svolgimento delle prove, con qualche commento di esperti delle varie materie.
Le rivelazioni sulla scarsa attendibilità dei voti finali, evidenziate anche dal Rapporto sulla qualità nella scuola di Tuttoscuola, il carattere poco selettivo dell’esame, rimasto tale anche dopo la cura rigoristica Fioroni-Gelmini, la mancanza di vere novità sulle seconde prove (greco al classico, matematica allo scientifico etc), il carattere un po’ casuale e localistico della terza prova (che diventerà nazionale, forse, solo nel 2012), hanno contribuito a dare dell’esame l’immagine di un passaggio burocratico obbligato e anche un po’ scontato.
Senza vere novità questo processo di lenta decadenza della maturità sembra irreversibile. Una potrebbe essere, come accennato, la terza prova nazionale, ma perché non provare a connettere meglio l’ultimo anno della scuola secondaria con gli studi successivi (una base normativa c’è già), riducendo per esempio a tre le materie oggetto di verifica approfondita in sede d’esame, e attribuendo alle relative votazioni il valore di crediti formativi universitari (CFU)?
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