L’uso disinvolto dei permessi per assistenza ai disabili
Gli insegnanti e il personale scolastico, come gli altri lavoratori, possono disporre di tre giorni di permesso al mese per assistere familiari con disabilità.
La norma, precisata e integrata dalla legge 53 del 2000, prevede però che siano rispettati i principi di continuità ed esclusività. Cosa vuole dire? Lo hanno precisato più volte l’Aran e l’Inps, ma sembra che molti uffici pubblici e le segreterie delle scuole ne siano all’oscuro.
Per fruire dei permessi occorre non vi siano altri familiari che assistono il disabile (che è spesso un vecchio genitore), ma che il dipendente che assiste si trovi nei pressi dell’assistito.
Quest’ultimo principio di continuità deve essere assicurato, hanno precisato Aran e Inps, soprattutto da chi abita lontano dall’assistito, valutando la lontananza in termini di spazio e di tempo (massimo due ore) per raggiungere la case dell’assistito, svolgere assistenza e rientrare nella sede di lavoro.
Sembra ovvio e logico, ma così non è a quanto ci segnalano alcuni lettori.
C’è chi, ad esempio, abitando a Roma chiede (e ottiene) i permessi (tre giorni al mese non continuativi) per assistere la vecchia madre ad Agrigento. Oppure da Milano chiede (e ottiene) il permesso per assistere il genitore infermo a Caserta….
In tali casi, tocca ai colleghi sostituire il docente in permesso con disagi che ricadono sul servizio e sugli alunni. Eppure la norma (contraria) c’è. Ma tutti i dirigenti lo sanno? E il ministro Brunetta lo sa?
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