di Valeria Caricaterra, Dirigente scolastico
Il sistema scolastico italiano, in merito all’accoglienza, integrazione e inclusione degli alunni con disabilità o, comunque, con bisogni educativi speciali, è all’avanguardia, almeno dal punto di vista legislativo.
Mi riferisco non solo a leggi che hanno modificato profondamente il DNA del sistema di istruzione, come ad esempio la legge 517/77, la legge 104/92, la legge 170/2010 ecc., ma anche a norme di cui, a mio avviso, non si è ancora completamente compresa la rilevanza, in termini di potenzialità per l’inclusione, che esse racchiudono: si potrebbe citare il DPR 275/99 o le stesse Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione.
Anche questa legislazione, infatti, concorre a delineare un profilo ordinamentale di massima flessibilità, volto all’accoglienza e alla valorizzazione delle diversità. In sintesi, si potrebbe affermare che l’inclusione diventa connotato essenziale di ogni proposta educativa e formativa. Tuttavia, al di là di questa solida base normativa, la realtà è poi tutta da strutturare in modo concreto ed efficace e, in questo percorso di realizzazione e costruzione dell’inclusione, in questa opera di traduzione fattiva, di “operazionalizzazione” dell’inclusione, la chiave di volta, come sempre accade nell’educativo, è l’insegnante.
Il docente, infatti, assume su di sé l’onere di rendere “reali” i principi affermati nelle leggi, di utilizzare in modo pertinente e significativo gli strumenti offerti dalle norme. Questo compito di concretizzazione di principi e paradigmi non avviene soltanto nei momenti di progettazione collegiale, ma si realizza soprattutto nel modo di essere insegnante, in quella che potremmo definire assunzione di uno stile inclusivo.
Se questo manca, le progettazioni restano fredda prassi burocratica, toccano gli aspetti “tecnici” dell’alfabetizzazione di base e del garantire pari opportunità, ma non scendono nel profondo, perché toccano esclusivamente la dimensione del sapere e del saper fare senza intercettare mai la dimensione del saper essere di coloro che sono coinvolti.
Si può scivolare così facilmente verso una deriva di “addestramento normalizzante”, mentre il fine ultimo dell’inclusione è maturare competenze di cittadinanza attiva, responsabile, solidale e felice, poiché realizzata nel pieno delle proprie potenzialità.
Dunque, in ultima analisi, l’inclusione non può prescindere dall’entrare in relazione autentica con le dimensioni più profonde della persona. Allora, come scriveva Don Milani, priore di Barbiana, per l’insegnante non si tratta tanto di chiedersi cosa bisogna sapere per insegnare, quanto come bisogna essere per poter insegnare. In fin dei conti la chiave dell’inclusione è tutta qui … in una questione di stile.
Bibliografia L. Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2004 MIUR, Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Le Monnier, Firenze 2012
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