L’inarrestabile ascesa del personale precario

A settembre, dopo le tribolate immissioni in ruolo, rimarranno circa 100 mila posti vacanti (per lo più di personale Ata).
Questo significa che anche per il prossimo anno scolastico sarà molta elevata la quota di personale scolastico nominato con contratto a tempo determinato fino al termine dell’anno scolastico (31 agosto) o delle attività didattiche (30 giugno).
Nel 2003-2004, nonostante una riduzione di organico per effetto delle leggi finanziarie, quei posti con contratto a tempo determinato sono stati 181.608, di cui il 61,2% docenti (oltre 111 mila, di cui circa 40 mila su posti di sostegno) e il 38,8% Ata (oltre 70 mila).
La precarietà degli assetti diventa sempre più un fatto ordinario, una patologia strutturale del nostro sistema scolastico, che si attesta, come quattro anni fa, su una percentuale del 17% di personale con rapporto di lavoro non stabile.
Negli ultimi anni ’90 la percentuale di personale con contratto a tempo determinato era passato dall’8,60% al 10,5% per arrivare nel 2000-2001 al 17%, con 184.208 unità di personale assunto ad anno (117.685 docenti e 66.523 Ata).
Allora i docenti precari rappresentavano l’80% del precariato; ora, con l’incremento di precari Ata, rappresentano il 60%.
Nel 2001, con la massiccia immissione in ruolo effettuata dall’allora neo-ministro Moratti sulla base di un programma triennale di immissioni in ruolo, varato dal governo precedente nella seduta del 17 giugno 2000 ed in parte già realizzato prima dell’insediamento del nuovo governo, e con la stabilizzazione del rapporto di una parte degli Ata transitati dagli Enti locali allo Stato, il personale con rapporto annuo scendeva sotto le 159 mila unità, ma il mancato turn-over del biennio successivo faceva ritornare nell’anno in corso il contingente dei precari sopra le 181 mila unità, per una quota pari al 17% di tutto il personale in servizio.