L’extraterritorialità della scuola. Un equivoco pericoloso

Una minoranza di studenti del liceo Virgilio di Roma e una minoranza di genitori ha reagito all’arresto dello studente spacciatore non per difendere l’operato del ragazzo (che per fortuna non ha trovato la solidarietà di nessuno) ma per l’ingresso della polizia nella scuola.

Sembra di tornare a quasi mezzo secolo fa, quando la polizia entrò per la prima volta nelle università, il tempio del libero pensiero e della libera ricerca. Sembrava una violazione dei principi sui quali per secoli il pensiero accademico aveva fondato la sua ragione d’essere.

Non dichiarata, né tanto meno scritta, c’era la convinzione che l’università potesse beneficiare di una sorta di diritto di extraterritorialità.

Ma non era così. I principi su cui si fondava non vennero violati e il dettato costituzionale secondo cui “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” non vennero in alcun modo calpestati o lesi. Altre, come si sa, erano state le ragioni di quegli interventi di polizia.

Ma l’esperienza servì anche a dimostrare che in uno stato di diritto non possono esservi luoghi che possono beneficiare di extraterritorialità. Non l’università e nemmeno la scuola.

E se nella scuola avvengono fatti penalmente perseguibili, come è avvenuto al Virgilio, è giusto, se pur come extrema ratio, che intervengano le forze dell’ordine.

Né poteva essere diversamente, considerato il fatto che gli insegnanti, anche se pubblici ufficiali, non hanno potere alcuno in merito, se non il potere educativo che, in questi casi, è inadeguato e improprio per fronteggiare comportamenti penalmente perseguibili.

La scuola non gode di extraterritorialità.