L’esclusione dalle assunzioni di chi ha riserve pendenti è rischiosa

Uno degli aspetti che ha sollevato più critiche nella disciplina delle assunzioni contenuta nel disegno di legge governativo sulla scuola è l’esclusione dal piano straordinario di immissioni in ruolo di “coloro che non sciolgono la riserva connessa al conseguimento del titolo di abilitazione entro il 30 giugno 2015” (art. 8 comma 9 e 10), e la connessa “perdita di efficacia di tutte le graduatorie di merito e ad esaurimento (…), ai fini dell’assunzione con contratti di qualsiasi tipo e durata”.

Ce ne siamo già occupati con un precedente parere giuridico (Piano assunzioni, i casi di chi è in ruolo o ha una ‘riserva’ in sospeso), e abbiamo chiesto all’avvocato Elena Spina, esperta di diritto scolastico, di approfondire il tema: “Anche questa previsione normativa pare essere molto debole! Chi conosce i principi fondamentali del nostro Ordinamento giuridico e del diritto europeo non può aver così facilmente non considerato l’art. 24 della Costituzione, il diritto di difesa e il principio della retroattività degli effetti della domanda giudiziale, nonché l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)”.

E’ contrario anche (cfr. Ddl scuola: ‘a rischio illegittimità i paletti sulle assunzioni’, NdR) ad ogni principio comunitario – secondo l’avvocato Spina – l’operato di uno Stato che legifera per risolvere le problematiche che siano oggetto di cause legali dove esso stesso è parte chiamata in causa. La norma per come è formulata conterebbe effetti retroattivi gravissimi sulle domande giudiziali già presentate. Con riferimento al caso in esame, i principi di cui sopra portano a rilevare, anzitutto, che «il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), è valore fondamentale di civiltà giuridica. Nel nostro Ordinamento «il legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme con efficacia retroattiva, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della CEDU (ex plurimis sentenza n. 78 del 2012)”.

Tuttavia – continua l’esperto di diritto scolastico –, occorre che la retroattività non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis sentenze nn. 93 e 41 del 2011). La Corte Costituzionale ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali e di altri valori di civiltà giuridica, tra i quali sono ricompresi «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto (si pensi a coloro che appunto stanno attendendo l’esito di cause proposte innanzi alla nostra stessa magistratura); la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (ex multis sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010)”.

In particolare – approfondisce Spina –, in situazioni paragonabili al caso in esame, la Corte ha già avuto modo di precisare che la norma retroattiva non può tradire l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se la disposizione retroattiva sia dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad evenienze eccezionali (ex plurimis, sentenze n. 24 del 2009, n. 374 del 2002 e n. 419 del 2000). Del tutto affini sono i principi in tema di leggi retroattive sviluppati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in riferimento all’art. 6 della CEDU, i quali trovano applicazione anche nell’ambito delle procedure concorsuali, come è attestato da specifiche pronunce della Corte europea riguardanti l’Italia (pronunce 11 dicembre 2003, Bassani contro Italia; 15 novembre 1996, Ceteroni contro Italia)”.

La Corte di Strasburgo, infatti – conclude l’esperta di diritto scolastico riepilogando la principale giurisprudenza sull’argomento –, ha ripetutamente affermato, con specifico riguardo a leggi retroattive del nostro ordinamento, che in linea di principio non è vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una regolamentazione innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 della CEDU, ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (pronunce 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia). La Corte di Strasburgo ha altresì rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere intese in senso restrittivo (pronuncia 14 febbraio 2012, Arras contro Italia) e che il solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l’intervento retroattivo (pronunce 25 novembre 2010, Lilly France contro Francia; 21 giugno 2007, Scanner de l’Ouest Lyonnais contro Francia; 16 gennaio 2007, Chiesi S.A. contro Francia; 9 gennaio 2007, Arnolin contro Francia; 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia). Viceversa, lo stato del giudizio e il grado di consolidamento dell’accertamento, l’imprevedibilità dell’intervento legislativo e la circostanza che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia, sono tutti elementi considerati dalla Corte europea per verificare se una legge retroattiva determini una violazione dell’art. 6 della CEDU: sentenze 27 maggio 2004, Ogis Institut Stanislas contro Francia; 26 ottobre 1997, Papageorgiou contro Grecia; 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society contro Regno Unito. Le sentenze da ultimo citate, pur non essendo direttamente rivolte all’Italia, contengono affermazioni generali, che la stessa Corte europea ritiene applicabili oltre il caso specifico e che questa Corte considera vincolanti anche per l’ordinamento italiano. (si veda sentenza Corte Costituzionale n. 170/2013)”.