Le nuove delusioni degli esami di Stato

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito il 2 agosto scorso ha diffuso gli esiti degli Esami di Stato conclusivi del secondo ciclo d’istruzione (già Esami di Maturità). Un primo aspetto positivo è che, nonostante il “degiovanimento” del Paese, il numero dei diplomati aumenta: oggi 526mila, dieci anni fa 496mila. Altro elemento positivo, il fatto che è stato ammesso il 96,3% degli studenti e di questi il 99,8% si è diplomato. Dai dati emergono anche le percentuali molto alte di votazioni “100” e “100 e lode” in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia (ultime invece Valle d’Aosta e Lombardia). Confermato anche il trend del calo dei punteggi generali (v. Tabella) e di eccellenza, ritornati a livelli “pre Covid”: in media gli studenti italiani si sono diplomati quest’anno con un voto finale pari a 78, dall’82 di tre anni fa ed al 76 del 2015. In percentuale, negli stessi anni le eccellenze (i voti 100 e 100 e lode) sono stati oggi il 9,8% del totale (dal 16,5% del 2021), al 5,8% di dieci anni fa. Questo calo di valutazioni positive ha generato un “effetto delusione” che in più scuole – già durante lo svolgimento degli esami – era emerso.

Emblematico il caso del Liceo Classico Foscarini di Venezia, dove tre studentesse avevano deciso di fare “scena muta” all’orale, sentendosi penalizzate dalla prova scritta di Greco. La delusione dei voti sta generando sia richieste di “accesso agli atti” alle Segreterie delle Scuole, sia ricorsi al TAR contro il voto conseguito, perché percepito come più “basso” rispetto alle aspettative. È un fenomeno abbastanza nuovo questo, perché non è il tradizionale ricorso contro una “non ammissione” (quindi un fatto oggettivo), ma è rispetto ad una percezione o di ingiustizia subita durante la valutazione delle prove oppure di disparità di trattamento.

In particolare, questa percezione si manifesta al momento della pubblicazione dei risultati ed è dovuta alla comparazione dei voti tra compagni/e di classe. Qui la frase ricorrente che si ascolta davanti ai Tabelloni è “Chi si è sempre impegnato conseguendo voti alti, esce con un punteggio inferiore a chi è stato più opportunista e/o ha avuto fortuna all’esame”. Da notare che oggi questa frase è ripetuta e diffusa in chat non solo da giovani, ma – soprattutto – dai loro genitori…

Va ricordato che l’Esame è regolato da un decreto legislativo di sette anni fa (il 62/2017, entrato in vigore nel 2019, ma interrotto dal Covid fino allo scorso anno) che richiede ai ragazzi di prepararsi ad un orale da 20 punti, su almeno sei materie comunicate a fine gennaio (in media 6 – 8 testi, circa 2.000 pagine…). Poi si aggiungono i due scritti (Italiano e materie caratterizzanti) da 20 punti ciascuno, su programmi nazionali spesso difficili da svolgere per intero e penalizzanti per i docenti che vogliono innovare almeno leggermente nei contenuti o introdurre elementi di contemporaneità. A questi punti (quindi fino a 60), se ne possono aggiungere ulteriori 40 in relazione alle medie conseguite al Terzo, Quarto e Quinto anno. Un esempio: chi ha sempre ottenuto in questi tre anni un’ottima media tra l’8 ed il 9 (senza mai essere “rimandato”), può aver accumulato 37 punti, chi un’eccellenza tra il 9 e 10 addirittura 40, chi ha avuto una buona media tra il 7 e l’8, arriva a 33 punti. Nell’esame però può capitare uno “scivolone” (così è la vita…), anche per chi arriva (primo caso) con 37 punti di credito e quindi una media (in decimi) ad esempio di 8,8. Se all’esame però consegue solo la sufficienza nei due scritti (oppure ottiene una insufficienza non grave in uno e consegna una prova discreta nell’altra), si può ritrovare con 24 punti degli scritti (ad es. la somma di 10 e 14 ventesimi, equivalenti appunto ad un cinque e ad un sette). A questi 24 punti vanno aggiunti i 37 punti di credito dei tre anni precedenti, arrivando a 61. Siccome tutto ciò è pubblicato, candidate/i conoscono la loro situazione prima di arrivare all’orale, a cui si presenterebbero – in questo caso – con un 61, quindi matematicamente promosse/i. Se poi svolgessero un buon orale (ad es. da otto decimi), conseguirebbero altri 16 punti, attestandosi complessivamente ad un 77/100. Una votazione di tutto rispetto, ma – tradotta in decimi – di ben 11 punti al di sotto di quella media matematica di 8,8 conseguita nell’anno.

Da un caso simile, è nata la protesta delle tre studentesse veneziane di cui si è detto prima, che hanno preferito fare “scena muta” all’orale, consapevoli che comunque il voto dell’esame non avrebbe raggiunto la media in decimi del loro anno. Con questa “formula” di esame, però questa fattispecie (o simili) accade sempre più spesso, insieme a quella di chi ha invece la media del 7 (quindi 33 punti di credito), ma grazie ad un exploit all’esame (ad esempio con tre prove tutte da 8 decimi e quindi 16 ventesimi), ottiene un 81. Da qui, la delusione di chi si è applicato per anni in modo continuo, ma ha avuto un calo agli esami, che si vede valutato di meno di chi ha garantito il “minimo indispensabile” negli anni, ma all’esame ha realizzato un exploit.

Sono situazioni emblematiche che accadono durante le prove finali, ma che oggi sono più difficili da accettare, perché generano quelle percezioni di ingiustizia che portano appunto ai ricorsi al TAR… La soluzione è semplice: o si prosegue così evocando che l’errore può capitare e che può essere penalizzante, ma che anche nello sport è così, dalle Olimpiadi agli Europei, dove si può giocare benissimo per 90 minuti, prendere un gol per una distrazione nell’extra time ed essere eliminati. Ma – come genitori – si può anche cogliere un errore, una delusione, come “opportunità educativa”, riflettendone con i propri figli. Non per sgridarli o umiliarli, ma per spiegare che può capitare e bisogna farne tesoro, che la “torre di Pisa” è un errore, ma … Proporre un’analisi sull’esame ed una riflessione sul percorso di cinque anni della Scuola superiore (si è diventati grandi in questo tempo…) è una occasione unica per crescere insieme. Comunque, da festeggiare. Ed inoltre va sempre ribadito che non è mai un numero ad esprimere il valore di una persona…

Se invece gli adulti diventano ancora una volta gli avvocati dei loro figli, rompono l’alleanza fiduciaria tra scuola e famiglie – che è alla base del “patto educativo” – delegittimano i docenti ed un’istituzione, rischiano di perdere sia un’opportunità educativa, sia il ricorso stesso. I genitori/ricorrenti al TAR (per ripristinare situazioni vissute da loro e/o dai figli/e come ingiustizie e “onte sociali”), rischiano infatti di spendere soldi e di non ottenere i risultati desiderati. Infatti, il TAR non entra nel merito delle valutazioni, ma svolge controlli formali e di logicità e le situazioni prima descritte sono insite in questa modalità di esame. Fatte salve quindi situazioni di illegittimità, che vanno sempre ripristinate a tutela di ragazze/i, oggi i genitori sono tenuti a valutare il loro agire, mettendo al centro il bene dei loro figli/e. Perché se è vero che dopo il Covid sono emerse maggiori fragilità e gap di conoscenze in ragazze/i, una prestazione non ottimale non deve essere esasperata (nemmeno nel ricordo) e rischiare di pregiudicare un nuovo percorso di studi post diploma.

Mentre i genitori si interrogano su ciò, altri possono cercare se oggi vi un’altra modalità di esame, più capace di valorizzare realmente la continuità di impegno ed il merito, come per le votazioni di laurea. Un esempio: modificare un articolo del Decreto Legislativo, sostituendo alle prove nazionali una tesi che sia interdisciplinare (e scelta su contenuti del Triennio) e che permetta di conseguire punteggi massimi diversi, a seconda che sia compilativa (minimo), sperimentale (o su un caso) o di ricerca (voto più alto). Il resto del punteggio può continuare ad essere assegnato proporzionalmente alle medie degli ultimi tre anni, ponderando le percentuali allo stesso modo o in modo diverso, ma equo rispetto alla finalità generale di valorizzazione dell’intero percorso, come appunto per la tesi di laurea. In questo modo è più facile sentirsi valorizzati nel merito e valutati in modo equo. Infine, una riforma delle modalità di svolgimento dell’Esame finale, dovrebbe essere solo il primo passo (meglio se compiuto con urgenza) di una riforma complessiva della Scuola, ancorata ai cicli stabiliti nell’anno 2000, che fa fatica ad innovare (la burocrazia rischia di soffocare le opportunità del PNRR) e sperimentare, se non a singhiozzo. I programmi e gli indirizzi sono infatti fissati a livello nazionale, ma dovrebbero anche focalizzarsi sulle esigenze territoriali, con sistemi duali ad hoc, efficaci, come nei Lander tedeschi, dove disoccupazione giovanile e Neet sono ai livelli più bassi in Europa. Dobbiamo impegnarci per una scuola sempre più capace di garantire il ruolo storico di “ascensore sociale”, che educhi promuovendo la miglior cultura del nostro Paese.

*Preside don Bosco Borgomanero (No) e Direttore Fondazione Academy Robotica

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