L’autunno precario della scuola

La scuola riapre in un clima non sereno, dominato dalle scosse di assestamento conseguenti al terremoto della legge n. 133/2008, la manovra finanziaria voluta dal ministro dell’economia Tremonti che si sta progressivamente rivelando come la più massiccia operazione di politica scolastica nella storia della scuola italiana dall’avvento della Repubblica.

Essa sta operando infatti non solo nello specifico campo della finanza pubblica, con il drastico ridimensionamento della spesa per l’istruzione (8 miliardi in tre anni), ma anche in quello organizzativo (numero di allievi per classe, dimensionamento delle scuole) e ordinamentale (riforma dell’istruzione secondaria superiore).

L’effetto più visibile di una manovra che ha inciso su un bilancio come quello dell’istruzione, fatto quasi tutto di spesa corrente per stipendi (97%), è stato però quello di restringere le possibilità occupazionali delle centinaia di migliaia di aspiranti insegnanti e Ata che da anni – in qualche caso da decenni – premono per avere un posto stabile nella scuola: un vero e proprio “esercito di riserva” cresciuto all’ombra di tutti i governi degli ultimi trent’anni, tutti in varia misura responsabili di non aver saputo prevedere e programmare il fabbisogno effettivo di personale da inserire nella scuola in modo stabile.

Ma quella dei precari è una macrocategoria che contiene figure diverse, o meglio con diversi gradi o livelli di precarietà: c’è chi lavora comunque da anni, chi ha lavorato saltuariamente, e chi non ha mai messo piede nella scuola. Vanno considerati tutti nello stesso modo?