L’anno che verrà: come sarà la ripartenza? I problemi da affrontare

Di Patrizia Selleri

Finalmente qualcosa si è mosso anche sul versante scuola. Indipendentemente dalle opinioni personali, la convivenza con il virus è stata gestita cercando di far fronte ad esigenze ovvie ed a emergenze prese in carico giorno dopo giorno: la salute, il sostegno economico, gli anziani, i bambini. Si poteva fare di più e meglio? Lo si capirà solo negli anni che verranno, anche se gli effetti a medio e lungo termine potranno essere migliorati (si spera non peggiorati) dal contributo che il senso della responsabilità individuale potrà dare. Il sistema scolastico ha vissuto un’opportunità unica, cioè quella di dover modificare, senza se e senza ma, una radicata idea di scuola costruita attorno a tre parole: programma, didattica, valutazione. Senza il Covid 19 avremmo continuato ad avere solo sperimentazioni di didattica integrata con le tecnologie educative disponibili, raccontate come l’avvio di una nuova era,con tanto di servizi televisivi, durante i quali alcuni alunni avrebbero cantato le lodi di reti, collegamenti, software e tablet. La pandemia è andata veloce e ci ha costretti a stare al passo; abbiamo corso anche noi, dove con tempismo, creatività e competenza si sono abbandonate soluzioni ovvie per inventare quello che non c’era; abbiamo zoppicato quando è stata riproposta online la melodia delle solite tre parole; abbiamo inciampato quando ci siamo accorti che non tutte le famiglie hanno una rete veloce ed un computer per ogni figlio, siamo rotolati in basso quando in alcune scuole c’è stata un’aperta opposizione a proseguire l’attività educativa in un’aula virtuale. Di tutto questo, spero, le scuole faranno tesoro, mettendo in comune le esperienze, valutandone l’efficacia ma soprattutto individuando le condizioni indispensabili, la base di partenza, per introdurre nella propria scuola cose che altri sono riusciti a fare. Passato e presente serviranno per riflettere, ma ora serve preparare l’autunno. Ma come sarà la ripartenza? Ne abbiamo parlato nell’ultimo numero di Tuttoscuola.

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Saranno contenti di rivedersi e di poter stare insieme anche per tempi ridotti, avranno avuto il tempo di abituarsi all’uso delle mascherine (che diventeranno il nuovo gadget!), avranno più chiara di prima l’importanza dell’igiene personale e dell’uso dei propri oggetti, visto che forse si dovrà temporaneamente sospendere la regola del “prestare al compagno”. Ovviamente tutti gli adulti avranno il compito di ricordare gentilmente l’importanza di questi comportamenti e dovranno essere loro, per primi, a metterli in atto. Per gli studenti, la scuola post-Covid 19 potrà essere anche la prima vera novità del loro percorso scolastico e quindi incuriosirli, interessarli se son addirittura divertirli, sempre a patto che gli adulti non riversino su di loro le reali fatiche professionali dovute al cambiamento, lamentandosi quotidianamente con loro, invece che con i vari datori di lavoro (è il paternalistico vizio adulto del dover sempre raccontare quanto ciascuno sia stato bravo, avendo fatto ben più del dovuto).

Andrà tutto bene se la parola “problema” sarà temporaneamente eliminata dal vocabolario delle scuole, per il significato negativo che ha acquisito nell’accezione comune; ci sono invece effetti prevedibili fin da subito e ci saranno imprevisti da affrontare e gestire durante i prossimi mesi di scuola, senza poter contare su decreti o linee guida, che delineano solo la cornice organizzativa, rispetto alla quale, inevitabilmente, non si possono immaginare tutte le possibili eccezioni.

Il primo effetto da affrontare sarà l’accentuarsi delle differenze fra gli alunni. I motivi sono molti: non disponevano di una buona connessione di rete, oppure non l’avevano per nulla, quindi hanno ricevuto compiti sui cellulari o poco di più; non disponevano di una stampante a casa, visto che nelle fasi iniziali si chiedeva di stampare schede ed esercizi; hanno perso il sostegno dato dalla presenza dei compagni e quindi da soli, con genitori non all’altezza di poterli aiutare o troppo impegnati in un lentissimo “lavoro agile”, non è rimasto loro che un semplice fai da te senza neppure il feedback di una valutazione formativa dei loro prodotti. Poi, sul versante opposto, ci saranno gli studenti che avranno ritrovato un proprio ritmo di marcia, più veloce di quello imposto alla classe e quindi avranno imparato molto di più di quanto avessero in mente gli insegnanti; si saranno concessi il piacere di scoprire cosa riservavano i capitoli successivi dei loro libri di testo, avranno cercato su YouTube i tutorial per risolvere problemi di algebra, di geometria, di fisica, finalmente liberi di gestire il tempo del proprio apprendimento. E’ per questo effetto a due facce che la scuola non potrà più essere quella di prima e gli adulti, se non iniziano a prepararsi fin da subito, non riusciranno ad essere all’altezza dell’appuntamento con una realtà così nuova.

Che senso avrà parlare ancora di programma? Probabilmente nessuno, vista la differenza fra i livelli di capacità degli alunni e quindi sarà bene rispolverare la parola curricolo, bella ma impegnativa, poiché ha in sé l’idea di percorso e non di traguardo. Costruire con gli alunni il loro percorso di sviluppo e di apprendimento, avendo come punto di riferimento gli apprendimenti imprescindibili, sarà la riorganizzazione funzionale dei significati da dare all’esperienza scolastica del singolo alunno nel gruppo di cui è parte.

Cosa ne sarà della didattica? La didattica intesa come l’insieme dei metodi di insegnamento pensati in modo unilaterale dall’adulto, per intenderci il “come si insegna”, è destinato a produrre enormi danni, visto l’ampliamento delle differenze individuali, per ognuna delle quali servirebbe una “didattica” specifica. Sarebbe una situazione paradossale e quasi impossibile da gestire. Meglio quindi introdurre l’idea di pratiche educative, che mette in primo piano la necessità di condividere fra insegnanti ed alunni cosa già si conosce su un tema, come questa conoscenza sia distribuita in modo diverso fra i partecipanti (su alcuni argomenti l’insegnante potrebbe addirittura conoscere meno degli alunni!) e come le esperienze di ognuno possano essere messe a disposizione degli altri per costruire nuove conoscenze. Se il curricolo ci indica il percorso, le pratiche educative diventano i nostri mezzi di trasporto.

E la valutazione? Resterà quella su larga scala (INVALSI ed agenzie europee), indispensabile per avere un quadro complessivo del rapporto tra efficienza ed efficacia del sistema formativo, ma nelle classi il momento della valutazione di risultato (sommativa) dovrà essere ripensato, perché in classi così difformi al loro interno, per non creare un danno di motivazione a tutti gli alunni, sarà la valutazione di processo (formativa)a dover essere utilizzata, oltre ad una discussione sugli errori commessi che sostenga ogni alunno nel processo di autovalutazione dei propri limiti, da trasformare nei prossimi obiettivi da superare.

Ma perché tutto possa andare bene, l’azione fondamentale di ogni adulto sarà quella di evitare in ogni modo di mettere in evidenza le differenze esistenti fra gli alunni, che hanno origini così lontane da non poter essere messe a confronto: ognuno dovrà viaggiare bene, ma seguendo il proprio percorso, che è il vero oggetto dell’attività valutativa.

Forse in ogni collegio docenti sarebbe utile rileggere integralmente, tutti insieme, il Regolamento sull’autonomia organizzativa e didattica delle istituzioni scolastiche (D.P.R. n. 275/1999), la vera cornice che permette di dare attuazioni agli atti ministeriali sulla base delle esigenze e delle risorse di ogni singola realtà sociale, perché la pandemia ci ha insegnato che non tutto accade ovunque e che quando qualcosa funziona lo si deve soprattutto al comportamento rispettoso e responsabile degli adulti.

Nell’anno che verrà sarebbe bello essere tutti, grandi e piccoli, protagonisti di un cambiamento necessario ed atteso da qualche decennio nel nostro sistema scolastico: per favore, non sprechiamo l’occasione che ci è costata così cara.