La meridionalizzazione delle scuole del Nord

Nelle scuole settentrionali e ancor più in quelle centrali un docente ogni cinque è nato al sud. E, quando può, cerca di tornare a casa.

La Fondazione Agnelli ha dedicato un particolare studio al fenomeno, rilevandone soprattutto l’andamento negli ultimi anni, senza considerare le prospettive di ampliamento conseguente alla composizione delle graduatorie dei precari da cui deriveranno le future immissioni in ruolo.

Ultimamente hanno cercato di tornare al sud tremila docenti; meno di 700 ce l’hanno fatta. Ci riproveranno.

Non si conosce ancora quanti docenti precari meridionali hanno chiesto l’iscrizione alle graduatorie di tre province (a pettine o in coda, poco importa), ma si può essere certi che sono migliaia.

Complessivamente non si tratta di un’invasione né tanto meno di un dato negativo sotto l’aspetto della professionalità docente. Il problema semmai è un altro: la continuità didattica viene compromessa da un eccesso di mobilità negli arrivi e partenze.

Per questo fenomeno di meridionalizzazione delle scuole settentrionali (ma non solo), accompagnato anche da notevole mobilità del personale scolastico, si possono considerare due ragioni concomitanti e diverse.

Al Nord, il laureato cerca occupazioni diverse dall’insegnamento, una professione considerata non allettante e poco gratificante anche sotto l’aspetto retributivo. Ne è prova anche il basso numero di insegnanti uomini presenti nelle scuole delle regioni del Nord.

Al Sud e nelle Isole è l’esigenza occupazionale, povera di sbocchi per il lavoro, a cercare soluzioni dove vi sono maggiori possibilità di posti liberi nella scuola, cioè al Nord. Ne è stata prova recentemente la quantità di posti vacanti per dirigenti scolastici nelle scuole settentrionali, coperti peraltro solo in parte da dirigenti meridionali.