La Crusca per la traduzione automatica universale

Ma è mai possibile che i PRIN (Progetti di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale, NdR) presentati da ricercatori italiani debbano essere obbligatoriamente scritti in inglese?”. Il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, così si rivolgeva ai suoi interlocutori, tutti illustri italianisti (ma era presente anche la linguista francese Irène Rosier-Catach), in un vivace dialogo online trasmesso lo scorso 14 giugno che aveva per oggetto principale il fondamentale contributo offerto dal De Vulgari Eloquentia di Dante Alighieri alla creazione della lingua italiana e per alcuni aspetti del plurilinguismo europeo.

Nel mirino di Marazzini era una disposizione del bando nazionale così formulata: “Ogni domanda è redatta in lingua inglese; a scelta del proponente, può essere fornita anche una ulteriore versione in lingua italiana”. Insomma, prima l’inglese e poi, ma solo facoltativamente, l’italiano. Nemmeno la pari dignità…

A questo punto l’attenzione dei presenti, tra i quali Vittorio Coletti e Francesco Sabatini, presidente onorario della Crusca, si è polarizzata sulla vexata quaestio della predominanza dell’inglese come lingua veicolare, e si è affacciata l’ipotesi, illustrata in particolare da Mirko Tavoni, di una rapida diffusione sul mercato dei traduttori automatici: strumenti tecnologici, già in via di avanzata sperimentazione, che i progressi dell’intelligenza artificiale potrebbero presto rendere universali, consentendo a chiunque di parlare nella propria lingua e di essere ascoltato in quella di uno o più interlocutori di diversa estrazione linguistica, senza neppure l’intermediazione dell’inglese. Una strumentazione che secondo Sabatini sarà presto disponibile per i testi tecnici, meno complessi di quelli umanistici.

Sarebbe la fine della Babele linguistica e anche del vantaggio competitivo che l’uso dell’inglese come lingua veicolare ha riservato finora ai Paesi di lingua e cultura anglosassone. Ferma restando l’inestimabile soddisfazione, riservata comunque a pochi non anglofoni, di poter leggere e vivere Shakespeare nella sua lingua. Che è la stessa soddisfazione, naturalmente, che provano i non italofoni, studiosi o amanti della nostra lingua, nel leggere e vivere la Divina Commedia (anzi, la Comedìa) di Dante in originale.

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