La Buona Scuola/2. Ma sarà un vero cambiamento?

Certo, la stabilizzazione del personale, in particolare di quello docente, costituisce un rilevante segno di cambiamento rispetto al passato. Ma l’operazione riguarda il versante organizzativo del servizio scolastico, la sua struttura, il suo corpo insomma, non la sua anima.

L’anima della scuola è il suo prestigio sociale, la sua autorevolezza, la sua credibilità, la sua mission. Possiamo dire che gli obiettivi e le misure indicati nel documento governativo, redatto in puro stile renziano, siano in grado di ri-animare la scuola italiana, di riaccreditarla agli occhi dell’opinione pubblica, di spingerla verso quel destino/ruolo importante, decisivo per le sorti del Paese, più volte evocato dall’attuale presidente del Consiglio?

Ce lo dobbiamo tutti augurare, com’è ovvio, ma il dibattito subito apertosi sull’adeguatezza degli strumenti posti in campo dal documento mostra pareri discordanti proprio sulla mission della nuova scuola. Roberto Saviano, nella sua rubrica sull’Espresso, mostra di non aver fiducia nell’“abile battutista con responsabilità di governo” che si è sentito, come i suoi predecessori, “in obbligo di annunciare una ‘rivoluzione’ nel mondo della scuola”. Scettico anche Giuseppe Bertagna, ispiratore della riforma Moratti (ma poi assai critico sulla sua implementazione), a cui parere il documento “ricalca numerose riforme e proposte fatte da precedenti governi, la più evidente è quella concernente le ‘tre i’ di berlusconiana memoria”.

Bisogna però ricordare che le ‘tre i’ furono un mero slogan elettorale (rischio a cui il progetto Renzi dovrà dimostrare di sottrarsi) e che il presunto sistema duale, o binario, della riforma Moratti fu clamorosamente smentito – certamente al di là dei propositi di chi lo aveva ispirato – dal modello pseudo-panlicealista poi realizzato (con gli istituti tecnici travestiti da ‘licei vocazionali’).

Opinioni opposte sono state poi manifestate, con riferimento all’identikit culturale che la nuova scuola dovrebbe esprimere (la sua vocazione prioritaria, la sua ‘anima’) dall’esperto di politica scolastica Paolo Ferratini sul Corriere della Sera e dal docente di letteratura italiana Nuccio Ordine sul supplemento ‘Sette’ dello stesso quotidiano.

Per il primo il documento governativo si impegna troppo poco sul versante della formazione tecnica e professionale, via maestra anche per combattere la dispersione e integrare gli studenti stranieri.   

Per il secondo, al contrario, occorre “frenare la deriva aziendalistica e utilitaristica” perché “la formazione ha bisogno di tempi lunghi”, e ripartire dai classici per garantire l’acquisizione di un “sapere critico”, che è “una conquista senza fine di lucro”.

Che gli intellettuali mostrino di volersi impegnare nel dibattito sul futuro della scuola ci sembra comunque un buon segno. Finalmente.