Professori di serie b. Discriminati perché insegnanti di scuole non statali. Come se non svolgessero la medesima funzione educativa dei docenti statali. O – peggio – come se non avessero gli stessi titoli e diritti degli altri docenti. E tutto nel silenzio generale. Sì perché – ad eccezione della Fism, la Federazione delle scuole materne – nessuno s’è preoccupato di spendere una parola, per la svista della legge sulla “Buona scuola” che ha escluso dai benefici per l’aggiornamento degli insegnanti di ogni ordine e grado quelli che operano nelle scuole paritarie, a partire dalla Carta elettronica per la formazione. Come se fossero figli di un dio minore e in palese contraddizione con ogni principio di parità di opportunità per tutti. E nessuno, a partire dal ministro dell’Istruzione, ha chiarito le ragioni di una così evidente discriminazione.
Va ricordato che le scuole paritarie svolgono “un servizio pubblico” (art. 1 comma 3 della legge n. 62/2000 sulla parità scolastica). E che sono soggette “alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema nazionale di valutazione” (c. 3). Ma se il Miur valuta gli esiti delle attività formative svolte dalle scuole del sistema nazionale di istruzione – di tutte le scuole, statali e non – quelle non statali si troveranno svantaggiate perché i propri docenti non avranno avuto i mezzi per aggiornarsi messi a disposizione dei colleghi delle scuole statali; allo stesso modo il diritto allo studio e all’istruzione degli studenti delle non statali paritarie non sarebbe parimenti tutelato, se i loro insegnanti non fossero posti nelle stesse condizioni di crescita professionale. Ecco perché il Governo dovrebbe porre rimedio a una lacuna della legge sulla Buona scuola.
Infine va considerato il principio generale stabilito dalla legge n. 107/2015: “Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale” (comma 124 art. 1). Dal momento che “il sistema nazionale di istruzione (…) è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali” (art. 1 comma 1 della legge n. 62/2000), c’è da ritenere che l’obbligo di essere aggiornati (già peraltro previsto per i docenti non statali nel contratto nazionale di lavoro) rappresenti un principio unificante e vada esteso a tutti coloro che insegnano nell’ambito del sistema nazionale di istruzione: invece la riforma del Governo Renzi assegna l’importante e inedito bonus da 500 euro all’anno per la formazione in servizio ai soli docenti delle scuole statali. Pertanto prevede un obbligo di essere aggiornati per tutti ma dà i mezzi per farlo solo ad alcuni. Questa asimmetria di trattamento non è equa e non è neanche nell’interesse dello Stato, che ha “come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa” (di nuovo l’art. 1 comma 1 della legge n. 62/2000), cioè di tutta l’offerta, indipendentemente da chi la eroghi, se ovviamente: aderisce al sistema nazionale, corrisponde agli ordinamenti generali dell’istruzione, ed è caratterizzato dai requisiti di qualità ed efficacia previsti dallo Stato.
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