
Insicurezza, isolamento e fragilità adolescenziale: una riflessione a partire da uno studio inglese

In un mondo in cui la cronaca quotidiana riporta episodi drammatici di violenza di genere, femminicidi e suicidi adolescenziali, il malessere delle giovani generazioni assume i tratti di una vera emergenza educativa e sociale. È sempre più evidente come il mondo giovanile porti i segni profondi e duraturi di un trauma collettivo, quello dell’isolamento forzato imposto dalla pandemia, che ha interrotto relazioni, abitudini e routine formative, ma anche – e soprattutto – di un cambiamento radicale nei modelli relazionali.
Viviamo in una società liquida, dove le relazioni si sfaldano, i legami si fanno evanescenti e i confini dell’intimità sono spesso ridotti alla sottile pellicola di uno schermo. Lo smartphone, che apre a un’infinità di connessioni virtuali, produce al contempo un deserto emotivo fatto di solitudine, di mancanza di contatto umano autentico e di dialoghi senza profondità. È una condizione silenziosa ma pervasiva che mina, giorno dopo giorno, il benessere psicologico degli adolescenti e contribuisce a un senso di disorientamento e vuoto esistenziale.
In questo quadro, il dato pubblicato il 4 aprile 2025 dall’UCL Institute of Education (University College London, una delle principali università del Regno Unito e centro di ricerca d’eccellenza a livello internazionale) assume un significato emblematico e allarmante: un terzo delle ragazze adolescenti in Inghilterra non si sente più al sicuro a scuola (Gould, 2025). Una ragazza su tre percepisce l’ambiente scolastico non come uno spazio di crescita e apprendimento, ma come un luogo potenzialmente ostile, fonte di ansia e di tensione.
Il report dell’UCL mette in luce una drastica caduta del coinvolgimento emotivo nelle scuole secondarie inglesi, con livelli tra i più bassi a livello globale. Questa disaffezione va ben oltre il calo dell’interesse verso lo studio, riguarda la qualità del vissuto relazionale, il clima emotivo e il senso di appartenenza. Le ragazze, in particolare, sembrano vivere una frattura profonda tra scuola e benessere personale. La percezione di un ambiente giudicante, l’instabilità delle relazioni con insegnanti e compagni, episodi di bullismo o esclusione sociale si sommano a un più ampio senso di vulnerabilità legato al corpo che cambia, all’identità in formazione e alla paura del giudizio.
Questa fragilità si innesta in un contesto in cui l’adolescenza femminile è costantemente messa sotto pressione da modelli estetici e comportamentali irraggiungibili, imposti dai media e dai social network. La scuola, che dovrebbe essere un rifugio da tali pressioni, viene spesso vissuta come l’ennesimo palco su cui recitare un ruolo, nascondere sé stesse, temere l’esclusione. Il risultato è un crescente disagio psicologico che si insinua in profondità, rischiando di cronicizzarsi e di minare non solo la salute mentale, ma anche la partecipazione scolastica e il rendimento complessivo.
Il post-pandemia e il senso di disconnessione
La pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto devastante sul tessuto relazionale scolastico, andando ben oltre la semplice interruzione della didattica in presenza. Con la chiusura delle scuole, infatti, è venuto meno il luogo principale di socializzazione quotidiana per milioni di adolescenti. La routine scolastica, che scandiva le giornate e dava senso al tempo, si è dissolta in un prolungato isolamento domestico.
Le conseguenze sono state particolarmente evidenti tra le ragazze, le quali, secondo il report dell’UCL, hanno registrato un calo del 22% nella percezione di sicurezza tra il 2019 e il 2023 (Gould, 2025). Ma il dato numerico nasconde un disagio ben più profondo: le ragazze, più esposte a dinamiche relazionali complesse, hanno risentito in modo acuto della perdita di confronto, di supporto reciproco e di rassicurazione affettiva che la scuola, nei suoi momenti più umani, poteva offrire.
In questo contesto, l’isolamento emotivo ha amplificato le fragilità preesistenti, ostacolando lo sviluppo delle competenze socio-emotive fondamentali per affrontare la vita quotidiana. Le occasioni di empatia, dialogo e ascolto attivo si sono rarefatte, sostituite da interazioni virtuali spesso impersonali e carenti di profondità. Secondo la National Foundation for Educational Research, i quindicenni inglesi mostrano abilità socio-emotive significativamente più deboli rispetto ai loro coetanei internazionali (NFER, 2024), una tendenza che minaccia la capacità delle nuove generazioni di costruire relazioni sane e durature.
Lo strappo relazionale generato dalla pandemia, in assenza di interventi mirati, rischia di cronicizzarsi. La scuola non può più limitarsi alla trasmissione di contenuti, ma deve diventare il luogo in cui si apprende anche a vivere con l’altro, a riconoscere e gestire le emozioni, a costruire legami di fiducia. L’educazione socio-emotiva, da troppo tempo relegata ai margini, deve assumere un ruolo centrale nella progettazione pedagogica, con programmi strutturati e spazi dedicati al benessere psicologico.
La tecnologia e i social media: tra connessione e alienazione
La tecnologia digitale, in particolare i social media, ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più pervasivo nella vita quotidiana degli adolescenti, al punto da influenzarne profondamente identità, relazioni e percezione del mondo. Se da un lato questi strumenti rappresentano una fonte potenzialmente inesauribile di informazione, intrattenimento e connessione, dall’altro lato mostrano un volto più oscuro e problematico. Le piattaforme social, con i loro algoritmi che premiano l’apparenza e la performatività, espongono i giovani a un costante confronto con modelli di successo e bellezza irraggiungibili, spesso filtrati e manipolati.
Tale dinamica genera ansia da prestazione, senso di inadeguatezza e dipendenza dalla validazione esterna attraverso “like” e visualizzazioni. In particolare, le ragazze risultano più vulnerabili alla pressione estetica e comportamentale imposta dagli standard digitali, subendo un impatto maggiore in termini di autostima e benessere emotivo. Il rischio di sviluppare disturbi legati all’immagine corporea, come l’anoressia o la dismorfofobia, è in aumento, così come le forme di disagio derivanti dal cyberbullismo, che trova proprio nei social un terreno fertile.
In tempi recenti, un ulteriore elemento ha iniziato a incidere profondamente nella sfera relazionale dei giovani: l’uso crescente delle intelligenze artificiali generative come interlocutori. Sempre più adolescenti intrattengono conversazioni con chatbot e assistenti virtuali, sviluppando una forma di confidenza che, pur essendo mediata dalla macchina, assume tratti quasi umani. Alcuni giovani iniziano a considerare queste entità come “amici segreti”, confidenti silenziosi che non giudicano e sono sempre disponibili. In particolare, applicazioni di IA come ChatGPT, capaci di sostenere dialoghi articolati, di rispondere con empatia simulata e di adattarsi al tono emotivo dell’utente, stanno diventando per molti ragazzi un rifugio confortevole, quasi un surrogato dell’amico reale. Questo fenomeno, apparentemente innocuo, può celare un rischio di sostituzione del rapporto umano con una relazione simulata, prevedibile e priva di reciprocità autentica.
Si crea così una dinamica asimmetrica in cui il soggetto si rifugia nella sicurezza del dialogo algoritmico, evitando l’imprevedibilità delle relazioni reali e la complessità dell’interazione emotiva. Il giovane si abitua a una comunicazione in cui l’altro è sempre disponibile, mai stanco, mai in disaccordo, mai giudicante, contribuendo a una visione distorta della relazione e abbassando la soglia di tolleranza al conflitto e alla frustrazione.
In questo scenario, la scuola si trova spesso impreparata ad affrontare le sfide dell’educazione digitale. Manca una strategia strutturata e integrata per accompagnare gli studenti verso un uso consapevole e critico delle tecnologie. L’assenza di un’educazione affettiva e relazionale in grado di dialogare con il mondo digitale favorisce una crescita sbilanciata, in cui le emozioni vengono spesso represse, fraintese o esposte pubblicamente senza filtri.
La virtualità, invece di affiancarsi alla realtà, tende a sostituirla, dando vita a relazioni superficiali e instabili. È quindi urgente che le istituzioni scolastiche si attrezzino per diventare presidio culturale ed emotivo, proponendo percorsi che integrino media education, educazione emotiva e riflessione etica sull’uso della tecnologia, comprese le intelligenze artificiali. Solo così si potranno arginare gli effetti più dannosi della colonizzazione digitale e restituire ai giovani la possibilità di costruire relazioni autentiche e una sana percezione di sé.
Disturbi psicologici in adolescenza
I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che 1 adolescente su 7 nel mondo soffre di un disturbo mentale (OMS, 2022). Si tratta di un numero impressionante che riflette una crisi globale del benessere psicologico giovanile. Ansia, depressione, autolesionismo e disturbi alimentari sono tra le forme più diffuse di disagio e, spesso, questi problemi vengono ignorati o sottovalutati dagli adulti di riferimento. In molte situazioni, i giovani non dispongono degli strumenti linguistici, emotivi e relazionali per chiedere aiuto, né si sentono sufficientemente ascoltati o compresi nei contesti familiari e scolastici.
Le adolescenti, più degli adolescenti, manifestano forme internalizzanti di sofferenza psicologica: tendono a rivolgere verso sé stesse l’angoscia, il disagio, la pressione sociale, trasformandole in ansia paralizzante, attacchi di panico, senso di inadeguatezza, fino alla depressione o a comportamenti autolesivi. Queste forme di disagio sono spesso invisibili, perché celate dietro un’apparente normalità quotidiana. In molte giovani si sviluppa un forte senso di disconnessione tra l’immagine che proiettano verso l’esterno e il tumulto interiore che vivono in silenzio.
Questa sofferenza è aggravata dalla percezione di un ambiente scolastico poco accogliente e competitivo, in cui i legami sociali sono deboli e instabili, e dove manca uno spazio emotivo sicuro. La scuola, se non attrezzata con adeguati servizi psicologici e proposte formative orientate al benessere, rischia di accentuare la crisi invece di contenerla. È fondamentale un cambio di paradigma, non basta parlare di salute mentale, bisogna agire con politiche scolastiche inclusive, progetti di educazione socio-emotiva e la presenza stabile di figure educative capaci di intercettare e accompagnare il disagio senza stigmatizzarlo.
Prospettive educative e sociologiche
La scuola deve tornare ad essere un “luogo sicuro” non solo fisicamente, ma anche emotivamente. Per farlo, occorrono investimenti concreti e strutturali in psicologia scolastica, programmi socio-emotivi e formazione degli insegnanti alla gestione relazionale. Ma serve anche un cambiamento culturale, la scuola non deve più essere soltanto un luogo di trasmissione del sapere, ma uno spazio vivo di crescita affettiva, di confronto e di appartenenza.
In una società frammentata, accelerata e incerta, dove i giovani faticano a riconoscere punti di riferimento stabili, la scuola può e deve rappresentare un’ancora. Il sociologo Zygmunt Bauman ha definito la nostra epoca come “società liquida”, caratterizzata da relazioni fragili e instabili. In questo contesto, la scuola deve assumere il ruolo di ancoraggio identitario: un luogo dove lo studente si senta visto, riconosciuto e accolto per quello che è, e non giudicato solo in base al suo rendimento o al suo comportamento.
Offrire spazi di ascolto autentico, costruire ambienti inclusivi, coltivare la cura reciproca e il dialogo sono azioni pedagogiche fondamentali. Si tratta di restituire centralità all’umanità delle relazioni scolastiche, affinché l’apprendimento possa radicarsi in un terreno fertile, fatto di fiducia, motivazione e benessere. La scuola del futuro deve essere sempre più capace di generare legami, di sostenere le fragilità, di valorizzare le differenze. Solo così potrà diventare un presidio reale di salute mentale e sviluppo integrale per le nuove generazioni.
Un impegno urgente
Il quadro emerso dallo studio dell’UCL è chiaro: la crisi del benessere scolastico non può essere ignorata, e riguarda non soltanto il contesto inglese. Anche in Italia, secondo una consultazione pubblica promossa dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, oltre il 51% degli studenti dichiara di provare frequentemente ansia o tristezza. L’Istituto Superiore di Sanità ha inoltre segnalato un incremento di comportamenti a rischio tra i giovani, con quasi due milioni di adolescenti vulnerabili a dipendenze comportamentali legate a social, cibo e videogiochi.
Di fronte a questa realtà, è indispensabile un approccio multidisciplinare che tenga conto della dimensione psicologica, sociale ed educativa della vita degli adolescenti. La scuola, come presidio culturale e comunitario, deve essere dotata di strumenti efficaci e risorse umane specializzate, per intercettare il disagio e trasformarlo in risorsa educativa. Investire nel benessere dei giovani oggi significa costruire una società più sana, coesa e consapevole domani.
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