Il rinvio del secondo ciclo/2. Ora si può provare a fare meglio

Il rinvio al 2010-2011 della riforma del secondo ciclo presenta comunque un aspetto positivo: c’è il tempo per consentire alla scuola, all’opinione pubblica, agli esperti e a tutti gli interessati di aprire un ampio e pubblico dibattito, e di sottoporre ad esame critico le proposte governative di attuazione dei nuovi ordinamenti.

Se il governo e il ministro Gelmini assumeranno questo punto di vista – e sarebbe una novità positiva per la scuola italiana – l’azione amministrativa del governo sarebbe accompagnata da una forte interazione con una serie di stakeholders, come gli anglosassoni chiamano i diversi portatori di interessi, in questo caso rivolti verso la scuola.

Così, in presenza di documenti non blindati, e della disponibilità del governo ad ascoltare, si potrebbe discutere e approfondire alcuni problemi che meriterebbero più attenzione di quella finora ad essi riservata. Per esempio quello dei confini tra istruzione tecnica e professionale, disegnati dalla commissione De Toni in modo a nostro avviso troppo astratto e divaricante, lontano dalla realtà concreta degli istituti; quello degli eccessivi margini di autonomia, dal 20% del biennio fino al 35% del quinto anno, che rischia di appannare l’identità dei percorsi dell’istruzione tecnica e di riprodurre in capo all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche la frammentazione determinata in passato dalle centinaia di indirizzi, sperimentazioni e progetti assistiti; quello di un quinto anno strutturato in modo tale da farne davvero un anno ponte verso gli studi successivi, o con il lavoro (si tenga conto del fatto che i nostri studenti concludono gli studi secondari un anno dopo i loro colleghi di quasi tutto il mondo); quello di un più organico raccordo con le Regioni e con i percorsi formativi ad esse affidati.

Se si può fare meglio, perché non provarci? E’ doveroso provare a discuterne.