Il neobipolarismo e la scuola

Matteo Renzi e Silvo Berlusconi si sono intesi su tre questioni ‘strategiche’: la modifica della legge elettorale fatta in modo tale che si sappia subito chi ha vinto e chi ha perso; l’abbattimento del potere di interdizione (“ricatto”, ha detto Renzi) dei piccoli partiti; il monocameralismo, togliendo competenza legislativa al Senato. Basteranno queste tre misure, ammesso che divengano operative per esempio nel 2015 (prima sembra impossibile, a causa dei tempi richiesti dalle modifiche costituzionali), a rendere più agevole il percorso delle riforme, incluse quelle scolastiche?

In teoria sì, perché l’esperienza della prima e della seconda Repubblica ha dimostrato ad abundantiam quanto abbiano pesato sul destino delle riforme le infinite e spesso inconcludenti mediazioni tra i partiti per fare o disfare i governi (prima Repubblica), il potere di condizionamento delle forze politiche minori e anche minime all’interno delle coalizioni (seconda Repubblica) e l’andirivieni dei provvedimenti tra due Camere dotate di identiche competenze legislative (prima e seconda Repubblica).

Il caso più noto – nel settore dell’istruzione – è quello della riforma della scuola secondaria superiore, approvata da uno dei due rami del Parlamento cinque volte (1978, 1982, 1985, 1993 e 2000 nell’ambito della riforma dei cicli di Berlinguer, approvata addirittura da entrambe le Camere) e finita nel nulla, oppure – come nel caso della riforma Moratti (2003) – modificata in partenza e in itinere dalle pressioni interne alla coalizione di centro-destra per il mantenimento della durata quinquennale e per l’inserimento degli istituti tecnici nell’area liceale (‘licei vocazionali’) anziché in quella tecnico-professionale, condizione imprescindibile per realizzare una vera ‘pari dignità’ tra le due aree.

Non è detto però che la modifica delle regole elettorali (nel senso di un nuovo bipolarismo) e istituzionali (con l’introduzione del monocameralismo) bastino a spianare la strada delle riforme: molto dipenderà dalla capacità della leadership del partito o coalizione che vincerà le elezioni di assicurare all’azione del futuro governo un coerente e compatto sostegno politico-parlamentare.