Il fallimento della riforma dell’università

Sul tema della riforma dell’università (il 3+2) ci ha scritto il lettore Paolo Francini, di cui pubblichiamo volentieri la lettera.

Invitiamo tutti gli altri lettori a partecipare a discutere la testimonianza proposte, e a proporne di nuove, scrivendoci come di consueto all’indirizzo dedicato la_tribuna@tuttoscuola.com.

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Ma chi pensa che si verrà facilitati nella ricerca di un’occupazione diplomandosi a 18 anni invece che a 19? Credo nessuno.

O forse si pensa all’università? In tal caso: perché non ci si preoccupa piuttosto della durata dell’università?

La riforma del 3+2 nasceva proprio con questo intento: permettere di laurearsi in 3 anni.

Risultato:

– le lauree triennali sono in molti casi disegnate con tale sciatteria sul piano scientifico e didattico (una logica di collage e di spartizione tra gli orticelli) e con tale frammentarietà di contenuti, da divenire spesso dei meri assemblaggi di nozioni, dei percorsi di modesta qualità, poveri di valore formativo, che danno luogo a titoli poi difficilmente spendibili; essendo rimasta priva di sbocchi la laurea triennale, più o meno tutti finiscono per iscriversi alla successiva laurea specialistica: in pratica i corsi di laurea, che erano per lo più quadriennali, adesso sono tutti (sulla carta) quinquennali;

– il fenomeno del “fuori corso” (vale a dire la selezione dei laureati “per ostinazione” (evidentemente correlabile alle disponibilità finanziarie): una specialità tutta italiana) non è stato minimamente debellato; anzi: dopo una timida abbreviazione dei tempi nella fase di transito al nuovo sistema (riconoscimenti di esami e crediti pregressi, etc.), il numero dei fuori corso sta di nuovo esplodendo: in conclusione ci si laurea in genere fra i 28 e i 30 anni.

Tutta colpa della durata delle scuole superiori di 5 anni invece che 4? Che senso ha disquisire di un anno in più o in meno al liceo, quando l’università, che dovrebbe durare 5 anni, di fatto ne dura 10? Viene da ripensare alla faccenda della pagliuzza e della trave.

Paolo Francini

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