Il destino dell’istruzione tecnica/2. Il dilemma di Letizia

Con la legge 53/2003 l’attuale maggioranza, mantenendo fede ad una promessa elettorale, ha scelto di sopprimere la legge 30/2000 (anziché emendarla, come alcuni avrebbero preferito) proprio per sottolineare la discontinuità del nuovo sistema scolastico e formativo rispetto a quello precedente. Discontinuità resa particolarmente visibile nella fascia 14-18 anni, con l’abbandono del modello unitario di scuola secondaria, a favore di quello duale, o binario, fondato sulla “pari dignità” di due diversi canali, o “sistemi”, come li chiama la riforma Moratti: quello liceale (della “istruzione”) e quello professionale (o della “istruzione e formazione professionale”).
Il fatto è che la legge 53 non ha portato fino in fondo questa logica “duale”: l’art. 2, comma 1, punto g), contempla infatti la possibilità che tre degli otto licei previsti – il tecnologico, l’economico e l’artistico – si articolino in indirizzi, e questa possibilità offre spazio a proposte come quelle di Confindustria e di AN, che in definitiva reintroducono nel canale liceale quasi tutti gli attuali istituti tecnici.
La cautela del ministro, che al momento non decide, sembra dunque giustificata: qualunque scelta in questo momento (preelettorale) scontenterebbe una parte della maggioranza e delle componenti scolastiche, con ovvie ricadute sugli esiti elettorali. Ma per avviare la riforma del secondo ciclo dal 2005-2006 occorrerebbe decidere subito, prima delle elezioni europee.
Il rinvio delle decisioni a dopo le elezioni europee, anche solo di qualche mese, potrebbe far slittare la decorrenza delle innovazioni al 2006-2007, anno di elezioni politiche, e metterebbe anche in dubbio la possibilità di poter rispettare il termine (aprile 2005) entro il quale esercitare la delega. Un anno, il 2006, nel quale il governo in carica, in assenza di un quadro normativo di attuazione certo e consolidato, e di un piano pluriennale di investimento a sostegno del processo di riforma, potrebbe decidere di non decidere per non scontentare parti dell’elettorato. Oppure potrebbe procedere egualmente, come fece il centro-sinistra nel 2001, correndo i relativi rischi politici sul piano del consenso (o meglio del dissenso) e aprendo la strada alla prospettiva che in caso di cambiamento della maggioranza il nuovo governo finisca per sospendere a sua volta l’attuazione della riforma. Un film già visto.
Dal punto di vista del governo sarebbe dunque meglio decidere subito, in modo da avviare la riforma del secondo ciclo dal 2005-2006. Già, ma quale riforma?