I diversi gradi di precarietà

A quanto risulta dalle cronache di questi giorni i più attivi nelle proteste sono in un certo senso i meno precari: sono coloro che da anni, sia pure in sedi diverse e per insegnamenti diversi (alcuni sono pluriabilitati), hanno comunque lavorato.

Gran parte di questo personale è stato o sta per essere riassunto, sempre a titolo precario, e per coloro che non saranno riassunti (tra 10 e 20.000) interverrà il nuovo “salva precari”. In un certo senso si tratta di precari stabili. Il vero rischio è quello che si apprestano a correre coloro, abilitati e non abilitati, che negli anni scorsi hanno insegnato saltuariamente per brevi periodi o anche per l’intero anno ma con incarico dato dai dirigenti scolastici per supplenza. Per loro le possibilità diminuiscono. Potremmo definirli precari instabili. C’è poi una terza categoria, quella di coloro che sono inseriti nelle graduatorie permanenti ma non hanno mai insegnato. Si tratta di un particolare genere di precari, che si potrebbe denominare precari invisibili. Ma c’è una rilevante differenza tra quest’ultima categoria e le altre due.

Il diritto del lavoro considera come caratteristiche del precariato la mancanza di continuità del rapporto di lavoro e di certezza sul futuro, accompagnata dalla mancanza di un reddito continuativo e adeguato su cui poter contare per pianificare la propria vita presente e futura. Ora, non c’è dubbio che le prime due categorie rientrino in questa definizione (la seconda ancor più della prima), mentre per la terza si dovrebbe parlare piuttosto di inoccupazione, che è la condizione di chi ricerca per la prima volta una occupazione. La distinzione non è di lana caprina perché se adottasse l’accezione più ampia del termine precariato si dovrebbero considerare precari anche tutti i professionisti (medici, ingegneri, geometri, giornalisti ecc.), iscritti agli albi, che per varie ragioni non esercitano la loro professione, e magari fanno un altro lavoro.

I provvedimenti di stabilizzazione dovrebbero riguardare essenzialmente le prime due categorie: per la terza la via maestra dovrebbe essere il concorso, accertando il fabbisogno delle scuole, e possibilmente riservando a queste ultime un ruolo attivo nella scelta degli insegnanti.