I conti pubblici e il merito dei docenti

La Corte dei Conti ha lanciato nei giorni scorsi un grido d’allarme per i conti pubblici, rilevando che nel 2000 i redditi medi unitari dei dipendenti sono aumentati (4,8%) più dell’indice dei prezzi al consumo (2,5%). La Corte ha anche richiamato l’attenzione sull’andamento dei contratti integrativi per i quali mancano seri controlli per accertarne la coerenza rispetto ai contratti nazionali. La scuola non è al di fuori di questa denuncia: un’altra “colpa” rilevata dalla Magistratura contabile riguarda infatti gli aspetti meritocratici, del tutto trascurabili nella definizione degli adeguamenti retributivi, con una propensione dilagante agli aumenti a pioggia.
Nella scuola, dopo il concorsone bocciato, le risorse sono state in buona misura (oltre 300 miliardi) dirottate direttamente sui fondi d’istituto, in base al contratto del 15 marzo 2001 per il biennio 2000-2001. Dare in libera gestione le risorse alle istituzioni autonome potrebbe sembrare la soluzione più idonea, ma la mancanza di specifica finalizzazione del loro impiego le rende generiche e destinate a compensare le attività più disparate, accontentando un po’ tutti (e nessuno).
Il CCNL 15.3.2001 all’art. 15, a dire il vero, parla di somme da impegnare “per riconoscere l’ulteriore impegno didattico rispetto a quello normalmente dovuto”, ma sembra troppo blanda la previsione per un’effettiva valorizzazione della professionalità dei docenti. Questa forma di egualitarismo decentrato rischia di falsare il processo di valorizzazione delle scuole. L’imminente Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (Dpef) con ogni probabilità affronterà la questione del merito e di nuove forme di incentivo per i docenti proprio per rilanciare la qualità dell’istruzione attraverso l’effettiva valorizzazione professionale. Sarà una svolta vera?