Homeschooling, Erika Di Martino: ‘Ecco perché ho deciso di non mandare i miei figli a scuola’

Già prima dell’emergenza Covid19 esistevano, in Italia e nel mondo, bambini istruiti, ma descolarizzati, competenti, ma senza esperienza di aule, campanelle e lavagne. Alfabetizzati, ma senza LIM. Sono pochi ma in crescita (anche a causa del Coronavirus) e sono i figli dell’homeschoolingL’homeschooling è una realtà poco nota e scarsamente diffusa soprattutto in Italia, anche se i dati dimostrano un aumento delle famiglie che decidono di istruire a casa i propri figli, senza iscriverli a scuola. Nel mondo la situazione è un po’ diversa. Circa 60 mila bambini in Canada, 70 mila in Inghilterra e 2 milioni negli Stati Uniti invece di frequentare la scuola, ricevono quella che una volta era definita “istruzione parentale” e che oggi ha diversi nomi, legati da un unico filo rosso: i bambini non vanno a scuola, ma vengono istruiti in casa, da genitori o tutor. Tuttoscuola intervista Erika Di Martino, pioniera italiana dell’esperienza dell’homeschooling e appassionata promotrice di questa proposta formativa. La prima domanda, quasi d’obbligo, riguarda la sua storia.

Come è arrivata alla decisione di intraprendere una strada così originale e poco battuta come quella dell’homeschooling?

“La scuola, come era organizzata non mi convinceva. Mio figlio ha frequentato per un anno la scuola dell’infanzia e al momento di scegliere in quale primaria iscriverlo ci siamo accorti della rigidità del sistema scolastico italiano, non in grado di rispondere alle nostre richieste. Di fatto non avevo proposte scolastiche che ci avessero soddisfatto. Mi sono documentata e ho approfondito il tema dell’homeschooling. Abbiamo anche consultato, con mio marito, un avvocato che ci ha rassicurato sulla legalità della nostra proposta. Da li ho creato un blog e ho iniziato questa esperienza“.

Non ci sono esami da sostenere, annualmente o alla fine di ogni ciclo?

“Al momento no, ma la situazione è in evoluzione. Gli esami servono per chi vuole rientrare all’interno del sistema scolastico pubblico oppure serve se i genitori desiderano una certificazione delle competenze e conoscenze dei propri figli. C’è chi fa esami di terza media, per poter poi fare la maturità e quindi iscriversi all’università. Anche se ci sono circolari ministeriali che dicono il contrario, i nostri legali ci hanno confermato che non c’è nessun obbligo di sostenere esami. Personalmente non facciamo esami perché non seguiamo il programma ministeriale. I nostri bambini sono bilingue, hanno un loro percorso personale e non ho necessità di vedere certificato il loro grado di apprendimento, poiché non c’è una delega ad altri, sono a conoscenza di ciò che sanno o meno. Di solito chi fa homeschooling alle superiori fa esami di anno in anno, perché la mole di lavoro è molto ampia“.

Quali sono i punti di forza di questo approccio?

“La forza è la rete delle famiglie e la riscoperta della società, come luogo vivo da esplorare. I bambini, come gli adulti e gli anziani, vivono una vita che è molto “inscatolata”, chiusa. Gli anziani sono sempre più emarginati, gli adulti al lavoro e i bambini a scuola. L’homeschooling stravolge tutto, connette bambini, adulti, anziani. Questa è una ricchezza. Come genitore ti metti alla prova, così come i fratelli. I fratelli passano molto tempo insieme; il vicinato si arricchisce, così come la società. Ad ogni angolo, in Italia, abbiamo monumenti da scoprire e guardare. È un cambio di paradigma. Io non sono assolutamente contro la scuola, ma fa un lavoro standard, di gruppo, le aule sono composte da molti bambini e alcuni insegnanti fanno l’impossibile con pochi mezzi e spazi. Nella scuola c’è tanta rigidità. A volte mi chiedono perché non ho messo queste energie nella scuola: semplicemente perché ho visto che spesso non ci sono ritorni, preferisco lavorare e dare un esempio virtuoso, anche per altre famiglie.”

Quali famiglie scelgono l’homeschooling?

“In Italia c’è una grande sfaccettatura. Negli USA soprattutto sono persone legate alla religione cristiana. In Italia questo non avviene, ci sono famiglie con impostazione molto diverse. Alcune arrivano all’homeschooling dopo molte delusione scolastiche, e questi sono i casi più difficili, perché c’è un abitudine al ‘sistema scuola’ da modificare. In un sistema scolastico che tende a dare ‘etichette’ sempre più spesso, invece di parlare di individui, arrivano all’educazione a casa, ma sono situazioni difficili, perché faticano di più ad abituarsi. Non c’è un imprinting religioso nella mia esperienza, mio marito ed io abbiamo una nostra spiritualità, ma non aderiamo a nessuna confessione religiosa: vogliamo semplicemente goderci questo momento di crescita nei nostri figli, essere al loro fianco fino a quando sarà possibile. Ho degli amici con figli scolarizzati, che mi fanno riflettere molto. Sentire che la domenica non possono uscire per fare i compiti ci fa capire che la nostra strada è quella giusta”.

Nell’homeschooling chi sono gli insegnanti? Esclusivamente i genitori?

“È necessario che ci sia un ‘cerchio’ di persone che condivide questa esperienza, ma il genitore ha la responsabilità di questo percorso. Per la musica, ad esempio, ci siamo rivolti ad un insegnante. A volte ci uniamo tra famiglie, così da dividere i costi, e proponiamo approfondimenti di vario genere, tipo cinema o la scuola di fumetti. Non bisogna replicare la scuola, perché i tempi sono molto ridotti e diversamente organizzati. In alcuni casi si può prevedere la presenza di un tutor, altri seguono programmi della scuola pubblica, altri no. Noi seguiamo molto la tecnologia, c’è chi segue il metodo Montessori, chi Steiner, sono approcci diversi. Usiamo siti gratuiti per le lingue, la matematica, per molte delle discipline. Non c’è una ‘settimana tipo’ dell’homeschooling. Incentriamo i nostri insegnamenti sull’apprendimento naturale e sui suoi tempi. Abbiamo un’organizzazione flessibile, con alcuni appuntamenti fissi, ma ci lasciamo provocare dalla quotidianità. Vorrei che nelle scuole entrasse più vita, più realtà.

I vostri figli vi hanno mai detto: mamma, papà, vorrei andare a scuola?

“I bambini non ci hanno mai chiesto di andare a scuola. Ogni anno noi chiediamo loro se vogliono andare a scuola, ma le risposte sono state sempre negative, soprattutto perché vedendo i loro amici scolarizzati, non ne sono incuriositi. Mio figlio più grande, appassionato di danza, dall’anno scorso frequenta l’accademia di danza della Scala. Ha superato esami e selezionati, perché era appassionato e non ha avuto problemi.“

Quali sono i punti di debolezza dell’esperienza dell’homeschooling?

“In Italia il rischio principale è l’isolamento, soprattutto se il genitore ha poca esperienza. L’organizzazione è fondamentale. La società ti porta ad essere individualista ed è necessario fare un grande sforzo per seguire adeguatamente i propri figli. Al momento siamo pochi e quindi in alcuni casi possiamo sentirci un po’ soli. Anche il confronto con le istituzioni non è facile, ma questo è molto soggettivo”.

Prima di chiudere, una curiosità: a che età hanno iniziato a leggere i suo i figli?

“I miei bambini hanno iniziato a leggere a età molto diverse. Dal bambino che ha iniziato a 5 anni, perché doveva giocare con le carte dei Pokémon, mentre un’altra ha iniziato a leggere a 9 anni, che se fosse stata a scuola sarebbe stata etichettata, con il forte rischio di compromettere la propria autostima: nella vita siamo tutti diversi, non dobbiamo giudicarci per i tempi. Anche il bambino di 8 anni sta iniziando ora a leggere, perché prima non aveva interesse.”

Concludiamo l’intervista a Erika Di Martino e l’impressione che ci rimane è quella di una proposta coerente, appassionata, tenace. La sua idea ci sembra distante dalla nostra formazione culturale e scolastica, ma non per questo ci deve spaventare. Ciò che più ci fa riflettere è il fatto che sempre più famiglie si sentano lontane dall’organizzazione scolastica tradizionale, cercando realtà flessibili e sempre più su misura dei bisogni dei propri figli. Non sappiamo se e quando l’homeschooling decollerà in Italia, ma senz’altro esperienze come queste devono spingerci a riflettere sulla missione, oltre che sull’organizzazione, della scuola tradizionale, così come comunemente è intesa.

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