Guidare lo sviluppo dell’IA nella scuola in modo inclusivo e responsabile
di Lorenzo Pannuti*
Commento all’articolo di Umberto Eco pubblicato su “L’Espresso” (2007)
L’articolo di Umberto Eco ha la mia età, da quando è stato pubblicato sull’ “Espresso” sono passati diciassette anni. Anni che hanno portato con loro innumerevoli cambiamenti che dall’autore non erano stati nemmeno preventivati.
E’ qui che c’è stato l’errore, è proprio in questa “zona d’ombra” che si può confutare o obbiettare la tesi presentata, poiché nell’analisi di una situazione non si possono sottovalutare le sembianze che potrà assumere questa in futuro.
Ad oggi l’integrazione fra scuola e tecnologia, oltre che utile, è anche indispensabile per seguire un mondo che avanza velocemente portando i giovani con sé. E, in questo processo, la figura dell’insegnante è al centro, è e deve essere l’agente principale dello sviluppo della scuola.
Il registro elettronico, per esempio, non rientrava nemmeno nei pensieri di Eco, eppure oggi è diventato quotidianità. L’affermazione è stata complessa, ha richiesto ore e ore di formazione per tutto l’organico scolastico, ma è stata portata a termine grazie al lavoro di docenti che hanno voluto (e dovuto) superare le barriere dell’analfabetismo digitale.
Per proseguire nell’approfondimento di questo mondo in costante evoluzione è stata istituita la figura del cosiddetto “Animatore Digitale”, figura che almeno sul piano teorico dovrebbe farsi carico della formazione in campo informatico e del più ampio processo della transizione digitale nella didattica.
Essendo mia madre immersa nel mondo scolastico in prima persona, ogni giorno, grazie ai suoi racconti, vengo a conoscenza di dinamiche presenti spesso ancora oggi che sono assolutamente inaccettabili: insegnanti che considerano i registri elettronico un optional, che non sanno né cosa sia né tantomeno utilizzare, se non al massimo come un mega schermo, una LIM, che non sanno partecipare ad una riunione su Meet. Questa può essere considerata ignoranza?
Il Covid ha giocato un ruolo di primo piano in questo processo, perché segregati in casa, anche i più alieni alla tecnologia si sono trovati davanti un’unica strada, quella di utilizzarla per ricreare quel contatto che la pandemia aveva distrutto.
Pensare però che per arrivare a questo, per arrivare a pensare che una riunione a distanza fosse più comoda e funzionale rispetto a una in presenza, sia stata necessaria una pandemia mondiale fa riflettere.
Gli insegnanti, per essere ascoltati e capiti, devono parlare la stessa lingua degli studenti, mantenendo sempre la loro autorevolezza, ricucire quel legame che si sta affievolendo.
Questa è la chiave per la scuola del futuro. Una scuola dove anche l’IA non rappresenta un tabù, dove può essere utilizzata in collaborazione come mezzo per la didattica.
Così come lo era internet nel 2007, l’IA non è perfetta, ma insieme, studenti e professori, possono renderla tale, a servizio dei bisogni dell’uomo e delle finalità del sistema scolastico.
*Studente Liceo Scientifico “Keplero” ROMA
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