Gli squilibri della rete

Il numero medio di alunni per istituzione scolastica nell’area meridionale, dal 2000 al 2007 è sceso a livelli molto bassi e fors’anche al di sotto dei limiti previsti per legittimare l’esistenza di istituzioni scolastiche autonome (da 500 a 900 alunni nella norma, da 300 a 500 nella eccezione).

Ad esempio, in Calabria, dove dal 2000 al 2007 vi è stato un calo di circa 38 mila alunni, la media è scesa da 584 alunni per istituzione autonoma a 531; in Basilicata (circa 11 mila alunni in meno) la media è scesa da 575 a 515; in Sardegna, per un calo di 31.600 alunni, la media è scesa da 591 a 529; nel Molise (calo di quasi 3.800 alunni) la media è scesa da 529 a 505.

Nonostante il vistoso calo, in queste regioni sono state eliminate pochissime istituzioni scolastiche e, comunque, in numero non proporzionale al calo demografico.

La Calabria ha avuto una riduzione di 10 istituzioni scolastiche, ma, considerato il vistoso calo demografico che probabilmente ha abbassato i livelli minimi consentiti, avrebbe dovuto perderne altre 50 o 60. La Basilicata – che non ha perso nemmeno un’istituzione scolastica autonoma, nonostante il calo di 11 mila unità – ne avrebbe dovuto perdere forse una ventina; la Sardegna (9 istituzioni cancellate) 40-50 in meno; la Campania (calo di oltre 47 mila studenti) avrebbe dovuto, forse, avere 50-60 istituzioni scolastiche in meno; la Puglia, con un calo di oltre 25 mila alunni, senza avere riduzione di istituzioni scolastiche, ne avrebbe dovuto perdere, forse, circa 25-30.

All’opposto, ad esempio, la Lombardia con un aumento di oltre 98 mila studenti e con conferma senza variazioni del numero delle sue istituzioni scolastiche, avrebbe dovuto avere forse più di 100 nuove istituzioni; l’Emilia, con 75 mila studenti in più (e la riduzione di due istituzioni scolastiche) avrebbe dovuto avere, forse, 80-90 nuove istituzioni scolastiche.

Questi calcoli non sono frutto di verifiche della reale situazione delle reti scolastiche, ma semplici proiezioni e stime di dati che legittimano, però, un ripensamento generale per una revisione che punti, prima ancora che al risparmio, al riequilibrio territoriale e alla perequazione.