
Reintroduzione dei giudizi sintetici nella primaria: cosa non va assolutamente dimenticato

Un apposito emendamento al Disegno di legge sulla riforma del voto in condotta e sulla valutazione presentato dal Governo nel marzo scorso, contempla la reintroduzione dei giudizi sintetici nella scuola primaria. Se, come è prevedibile, il Ddl già licenziato dalla Commissione cultura del Senato supererà l’esame dell’Aula, risulterà di fatto annullata la riforma della Ministra Azzolina che aveva a sua volta reintrodotto, a partire dal 2022 l’impiego dei giudizi descrittivi in ambito valutativo. Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, più volte aveva dichiarato di voler porre fine all’impiego delle espressioni del giudizio valutativo relativamente al grado di conoscenza e competenza raggiunto dagli allievi con la dicitura: a livello avanzato, intermedio, di base o in via di prima acquisizione perché ritenute non sufficientemente chiare ai più. Ha sostenuto che al contrario, al di là del giudizio analitico, “alle elementari” si vuole che le valutazioni siano esplicite e semplici: “ottimo, buono, discreto, sufficiente, insufficiente, gravemente insufficiente”, così come propone l’emendamento presentato. Ancor prima di entrare nel merito delle questioni valutative specifiche, va subito detto che il Ddl, che diventerebbe esecutivo dal prossimo anno di scuola, conferma, perpetuandolo, quel drammatico “Destino di Sisifo” cui dagli anni novanta del secolo scorso pare essere “condannato” il nostro sistema scolastico dalla insipienza delle decisioni politiche in campo educativo messe in atto dalle compagini di governo via via succedutesi nel nostro Paese.
Ognuna di esse, nella pretesa di trasformare a propria immagine e somiglianza apparati, strutture e istituzioni che per loro natura dovrebbero invece garantire la permanenza ammodernata e rinnovata di alcune caratteristiche peculiari della nostra storia passata e recente, compie scelte che rimettono in discussione, spesso radicalmente, quelle precedenti. Si contribuisce in tal modo a minare quelle condizioni di continuità e ammodernamento di funzioni e ruoli che occorre invece garantire ad alcune particolari strutture e istituzioni del Paese per far sì che risultino quanto più coerenti e adeguate alle mutevoli necessità storiche di una società aperta e democratica. E in effetti, il ricominciare sempre daccapo, per gli insegnanti, nella messa a punto non tanto del loro lavoro culturale e didattico – che come ben sanno i più consapevoli, presuppone e richiede un mutamento continuo della rotta al fine di perseguire i risultati voluti –, quanto piuttosto quello burocratico-amministrativo richiesto da norme che cambiano ormai ogni 3/4 anni, finisce col depotenziare tanto i processi di istruzione e formazione, quanto quelli connessi alla strutturazione dei giudizi valutativi.
Una sorta di costrizione che come effetto principale produce il depotenziamento di quei processi educativi che, invece, proprio su base empirico-sperimentale, suffragati peraltro dall’esperienza viva degli insegnanti e degli allievi più consapevoli, Si sono rivelati nel tempo autenticamente utili nella qualificazione dei percorsi formativi scolastici. Mutamenti frequenti e repentini quelli cui si sta facendo riferimento, che peraltro costringono, come ha mostrato la nostra storia valutativa scolastica recente, ad una sorta di schizofrenia comportamentale: la separazione talvolta netta tra le caratteristiche peculiari delle attività formative messe realmente in atto, e quelle burocratiche di tipo documentale per la rappresentazione di un obbligo formale, con grave sottrazione di tempo, impegno ed energie alla messa in atto dei processi autenticamente formativi (non a caso per un periodo non tanto breve il lavoro di trascrizione dei giudizi valutativi richiesto ai docenti li aveva fatti paragonare a quello degli amanuensi medievali).
Tutto questo produce comunque conseguenze negative sul piano della motivazione professionale dei docenti, con inevitabili omologhe ricadute sul piano delle attività didattico-culturali. Si accentua infatti, in tal modo, il disagio di una categoria professionale, già segnata e mortificata dalla scarsa considerazione sociale, effetto e concausa al tempo stesso del miserrimo riconoscimento del valore in sé oltre che socio-economico, dell’istruzione e della cultura, quindi, di conseguenza, degli insegnanti che le promuovono svolgendo il loro lavoro in contesti diventati ormai di frontiera e a progressivo rischio di burnout.
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Chi è l’autore
Gaetano Domenici
Già docente universitario, autore di Tuttoscuola.
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