Formazione docenti, Ghizzoni (PD): ‘Incrementare il fondo per la valorizzazione docente e e riformare il reclutamento’. L’intervista

di Giancarlo Sacchi

Fare in modo che gli insegnanti siano davvero valorizzati e che il loro arrivo in cattedra sia un po’ più semplice. E poi risolvere il problema del precariato scolastico. Manuela Ghizzoni, componente della segreteria nazionale del PD con delega per Scuole e Università, ha le idee ben chiare e le racconta in un’intervista a Tuttoscuola.

Il PNRR pone tra le riforme da varare nei prossimi due anni quella della formazione di base del personale docente (infanzia, primaria, secondaria). Quali interventi si prospettano e quale è il punto di vista del PD?

“La missione Istruzione e ricerca, inclusa nel PNRR, prevede una riforma tesa a costruire un ‘sistema di formazione di qualità per il personale della scuola’: tale nuovo sistema costituirà l’offerta di formazione e aggiornamento professionale a disposizione dei docenti già in servizio. Al netto del necessario coordinamento con le norme contrattuali, il PD apprezza tale indirizzo di intervento a sostegno del personale scolastico, che si trova ad affrontare sfide nuove e continue nel campo educativo e dell’apprendimento, altresì rileva che, al momento, il Piano si limita a finanziare, con generose risorse (800 milioni),il solo potenziamento delle competenze digitali. Per quanto riguarda la formazione iniziale dei docenti, vale adire quella formazione “di base” che gli aspiranti insegnanti dovrebbero aver acquisito prima di entrare definitivamente in servizio, la proposta del PNRR appare più confusa. Mi spiego: nel piano, infatti, è prevista una riforma delle procedure di immissione in ruolo, che affida un forte peso formativo all’anno di prova successivo al concorso. Se questo modello è coerente per i docenti della scuola primaria, che si formano e si abilitano in un percorso di laurea quinquennale, esso appare molto debole per i docenti di scuola secondaria, per i quali non è previsto – ormai unico caso europeo – un percorso dedicato all’acquisizione delle competenze professionali di base per affrontare il proprio futuro lavorativo. Su questo aspetto il PD ha avanzato proposte: in passato con il percorso FIT istituto dal Decreto legislativo 59 del 2017 e più di recente, nel decreto legge 73/21, con una sua versione aggiornata e ridotta nella durata. Ma siamo ovviamente aperti a qualsiasi confronto con le altre forze politiche e con il Governo per condividere una proposta che tragga insegnamento dai punti di forza e dalle lacune dei precedenti modelli. Riteniamo pertanto che: debba essere un percorso post lauream di formazione tesa alla specializzazione delle competenze professionali (mediante lezioni frontali, laboratori, seminari…), associata ad attività di tirocinio diretto e indiretto, con la collaborazione di tutor universitari e scolastici; debba basarsi su un curricolo coerente ed organico; debba avere durata almeno annuale ma con un aggancio formativo e di accompagnamento riflessivo sulle esperienze maturate nell’anno di prova; la sua progettazione e organizzazione sia frutto di una stretta collaborazione tra scuola e università/AFAM; debba godere di risorse finanziarie e umane dedicate. L’investimento nella formazione iniziale degli insegnanti è l’investimento a maggior profitto!”.

Formazione e reclutamento due questioni distinte, tra concorsi e richieste di sanatorie. Come risolvere il problema del precariato?

“Il problema del precariato si risolve assumendo azioni che non ne creino di ulteriore. Potrebbe apparire tautologico affermarlo, ma non lo è. Anzi, la si potrebbe considerare l’esito del metodo sperimentale…Provo a spiegarmi, prendendo in considerazione i posti comuni, poiché su quelli di sostegno pesa, enormemente, l’incertezza annuale dell’organico assegnato in deroga, che nell’A.S. in corso ha raggiunto le 66mila unità rispetto ai 106mila posti di diritto. Non c’è dubbio che per il funzionamento della scuola sia necessaria una percentuale fisiologica di docenti supplenti, per coprire assenze più o meno lunghe, congedi, aspettative e il cosiddetto organico di fatto – quest’anno costituito da poco più di 14mila cattedre rispetto alle 670mila di diritto – che permette alle scuole di rispondere alle esigenze, transitorie, della propria offerta formativa. Bisogna invece evitare che quella percentuale diventi patologica. Per decenni, invece, lo Stato si è avvalso della facoltà di non coprire tutti i posti vacanti e disponibili pur avendone la disponibilità (è accaduto, da ultimo, dal 2008 al 2013) alimentando così la “sacca” del precariato: solo con la Legge 107/2015 si è normato che tutti i posti in organico vengano occupati. Nel frattempo, però, si sono aboliti i percorsi istituiti per poter accedere all’insegnamento con titolo adeguato e si sono rallentati i concorsi (anche a causa della pandemia) e così la platea del precariato ha ricominciato a crescere. Quindi, in generale, il precariato si combatte attraverso percorsi certi per accedere al ruolo e svolti a cadenza regolare e ravvicinata. Prima di raggiungere questa situazione di “normalità” occorre garantire, ai docenti che hanno maturato esperienza come supplenti, un percorso specifico per l’accesso al ruolo, che ne valorizzi la professionalità acquisita e che ne completi la formazione. A questo proposito, il PD ha avanzato la propria proposta nel DL 73 del maggio scorso, così articolata: valutazione dei titoli, del servizio e l’esito di una prova selettiva basata su una lezione simulata genera una graduatoria; i candidati collocati in posizione utile sono avviati ad un percorso accademico di formazione per integrare le competenze professionali acquisite durante gli anni di servizio svolto; ad esito positivo del percorso i candidati sono immessi in ruolo dal 1° settembre 2022. Questa proposta è stata approvata, con alcune modifiche proposte dal Governo ma che non ne snaturano il senso: siamo in attesa che prenda avvio al più presto, per poter rispettare la scadenza delle immissioni in ruolo per il prossimo anno scolastico”.

Come avviare alla professione docente dal momento che non esistono percorsi orientativi al riguardo?

“I percorsi per la formazione iniziale degli insegnanti della secondaria non esistono perché il ministro Bussetti ha deciso di cancellarli con la legge di bilancio per il 2019: se così non fosse stato ora potremmo valutare gli esiti formativi del percorso FIT… Si è preferito tornare all’antico, con concorsi dal valore abilitante attribuito, di fatto, al superamento di prove occasionali, difficilmente in grado di misurare la preparazione del candidato rispetto ai saperi e alle competenze culturali, disciplinari, delle scienze dell’educazione, delle metodologie didattiche, del digitale, della valutazione e autovalutazione, dell’organizzazione, della relazionale e dell’orientamento, della ricerca e della riflessività, cioè di tutti quegli ambiti con i quali i docenti si confrontano quotidianamente nello svolgimento della propria professione. Ho già fatto riferimento a quali percorsi sia possibile attivare nella risposta alla prima domanda”.

Come attrarre i giovani all’insegnamento? È principalmente un problema economico e di carriera?

“Entrambi gli aspetti pesano sulla scelta ‘consapevole’ di avviarsi alla carriera scolastica. Si pensi che gli insegnanti italiani sono i meno retribuiti e con scarsa progressione retributiva rispetto a paesi come Germania, Francia e Spagna mentre, a livello nazionale, i laureati che lavorano presso i Ministeri hanno una retribuzione di 4mila euro annui superiore a quella dei docenti. Si tratta di dati non esattamente incoraggianti! Ed è per questo motivo che nella discussione dell’ultima legge di bilancio il Pd si è molto impegnato – ottenendo un risultato non scontato – per incrementare il fondo per la valorizzazione della professionalità docente. Si aggiunga poi l’incertezza sul percorso per accedere stabilmente alla professione: concorsi ordinari, concorsi straordinari, concorsi spin off, richieste di acquisizione di crediti formativi aggiuntivi per alcuni concorsi e non per altri, procedure una tantum che attingono da determinate graduatorie ma a seconda del tipo di posto i requisiti di accesso cambiano… Il sistema presenta una barocca stratificazione di procedure che comunque fa perdere il senso delle scelte assunte nel tempo per rispondere a bisogni urgenti ed istanze legittime. Non è più rinviabile uno sforzo unitario delle forze politiche per definire un percorso chiaro e duraturo: mi auguro che tale sforzo possa avverarsi nell’esame della riforma su ‘reclutamento’ e sulla formazione iniziale”.

Tra gli interventi del ministero dell’università c’è la riforma delle classi di laurea per favorire una maggiore prospettiva interdisciplinare, esigenza fondamentale per i docenti che devono far fronte ad un sapere ed una società complessi?

“Si tratta di una riforma interessante e utile, sia per la formazione universitaria strettamente intesa che per quella degli aspiranti docenti. Temo, però, che i tempi per le ricadute sul secondo ambito possano essere un po’ lunghi…”.

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