Favino: ‘Sogno che il cinema e il teatro siano insegnati a scuola’. L’intervista

Photo credit: PABLO ARROYO 
Di Sara Morandi

Pierfrancesco Favino, è una figura di spicco nel panorama teatrale e cinematografico italiano ed internazionale. Con una carriera che abbraccia oltre tre decenni, Favino ha saputo conquistare il pubblico sia sul grande schermo che sul palcoscenico. Nel suo ultimo film “Il Maestro”, in uscita nelle sale il 13 novembre, Pierfrancesco Favino interpreta Raul Gatti, un personaggio complesso e affascinante. Diretto da Andrea Di Stefano, il film è ambientato negli anni Ottanta e racconta la storia di Felice, un giovane tennista affidato al sedicente ex campione Raul Gatti. Attraverso questo racconto, il film esplora temi di libertà, fallimento e speranza. Favino descrive Raul come un personaggio che gli ha permesso di esprimere lati inesplorati di sé, portando sullo schermo una storia che incoraggia il pubblico ad accettare le proprie imperfezioni e a trovare la bellezza nella vita, anche di fronte alle avversità. “Il Maestro” invita gli spettatori a riflettere sul valore delle relazioni umane e sulla forza del coraggio personale, lasciando un messaggio di positività e di resilienza. In questa intervista, l’attore condivide il suo profondo amore per il teatro e per il cinema, esprimendo il desiderio che queste arti trovino spazio nelle scuole. Favino crede che insegnare il teatro e il cinema ai giovani possa non solo affinare le loro capacità artistiche, ma anche aiutarli a comprendere meglio sé stessi e il mondo che li circonda. Il suo sogno è quello di vedere le arti performative integrate nel sistema educativo, incoraggiando una nuova generazione di artisti e amanti del cinema.

La sua carriera si estende su più di trent’anni e attraversa il teatro, la televisione e il cinema, sia in Italia che all’estero. Quali sono stati i momenti più significativi che hanno definito il Suo percorso professionale e quali insegnamenti ha tratto da queste esperienze?

“Credo che il mio percorso professionale si evolva ogni giorno di lavoro, ancora oggi. È difficile selezionare i momenti salienti di questi anni così variegati, durante i quali produzioni televisive, teatrali e cinematografiche hanno occupato un posto di rilievo. Il teatro ha sicuramente avuto un ruolo cruciale nella mia carriera, offrendo centralità e un confronto diretto con me stesso e con il pubblico. Sebbene sia la parte meno visibile per dimensioni e notorietà, il teatro possiede un grande valore artistico e formativo, contribuendo significativamente alla mia crescita personale e professionale”.

Avendo iniziato nel teatro, quanto è importante per lei mantenere un legame con il palcoscenico? Cosa crede che il teatro possa offrire a un attore rispetto ad altre forme di recitazione?

“Il teatro resiste da migliaia di anni perché rappresenta un’esigenza profonda di ascolto. La presenza del pubblico, l’unicità di ogni rappresentazione, l’esercizio nel variare i dettagli e l’imprevisto fanno parte di un mondo di cui sono felice di far parte ogni volta che è possibile e compatibile con i miei impegni, mai in modo subordinato. Tra poco vi farò ritorno, questa volta come regista”.

In un’epoca in cui l’arte spesso viene vista come secondaria nell’educazione, qual è la sua opinione sull’importanza dell’insegnamento del teatro nelle scuole? Ricordo il suo appello, durante un’edizione de “Il David di Donatello”… Come dovrebbe essere, dunque, la scuola dei suoi sogni?

“Ho espresso semplicemente il desiderio e suggerito che un giorno il teatro e il cinema possano essere insegnati nelle scuole. Questa esigenza è dettata anche dall’evoluzione delle nuove tecnologie, che permettono ai ragazzi di scattare foto, filmare e diventare protagonisti dei propri video. I giovani comunicano già attraverso ciò che una volta era definito audiovisivo; quanto sarebbe importante permettere loro di imparare le tecniche di ripresa e di narrazione. Potrebbero trasformare la loro spontaneità e queste possibilità in una professione o in un nuovo modo di interpretare il mondo che li circonda, di esplorare sé stessi e di diventare più consapevoli dei propri mezzi e talenti, utilizzando strumenti che in parte già possiedono”.

Il suo ultimo film, in uscita nelle sale dal 13 novembre, “Il Maestro”, esplora il tema della libertà e del viaggio interiore. Può dirci come questi temi vengono affrontati nella pellicola e quale messaggio spera che il pubblico porti a casa?

 “Raul Gatti è un personaggio inusuale, sia per me che per il nostro cinema. In passato, figure simili sono state rappresentate come dei guasconi; penso, ad esempio, a Bruno Cortona interpretato da Vittorio Gassman ne “Il sorpasso”, ma anche a certe interpretazioni di Vittorio De Sica o Alberto Sordi. Andrea, insieme a Ludovica Rampoldi, è riuscito a conferire profondità ad un personaggio che è allo stesso tempo divertente ma assolutamente tragico. Credo che dentro Raul ci sia molto di tutti noi: la consapevolezza delle scelte sbagliate, il desiderio di fare del bene a qualcuno per potersi perdonare gli errori del passato e, infine, il coraggio di guardarsi allo specchio grazie all’incontro con un bambino. Negli anni Ottanta si viveva in modo diverso. Era più comune, ad esempio nel mondo dello sport, affidare un bambino ad uno sconosciuto per un certo periodo di tempo. I genitori lo facevano con molta più tranquillità rispetto a oggi. Parlando con Adriano Panatta o con tennisti che come lui hanno lasciato un segno nei decenni scorsi, emergono ricordi del tempo trascorso con i loro maestri dell’epoca, con cui condividevano tutto, anche gli scherzi da caserma. Erano anni molto diversi, caratterizzati da una leggerezza e da un periodo forse più spensierato. Credo che nel nostro film questo si percepisca chiaramente; penso che si tratti di un “Feel good movie” da cui si esce arricchiti da tante emozioni diverse: si ride, ci si commuove, si fa il tifo e, forse, ci si riconosce”.

 

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