
Ester Pantano: ‘Sogno una scuola in cui si riesca a sviluppare il proprio Io, la propria verità’

Di Sara Morandi
Ester Pantano, in questa intervista, ci ha raccontato del suo percorso per interpretare Francesca Morvillo nel film: “Francesca e Giovanni – Una storia d’amore e di mafia” a fianco di Primo Reggiani. L’attrice siciliana ha descritto un viaggio profondo, intriso di ricerche e di passione, affrontando con delicatezza e determinazione l’oblio che spesso circonda la figura della magistrata. Inoltre, ha condiviso le emozioni vissute nel rappresentare la complessa relazione tra Francesca e Giovanni Falcone, sottolineando l’importanza della loro unione sia personale che professionale. Lavorando sotto la direzione di Simona Izzo e Ricky Tognazzi, Ester ha scoperto l’importanza di crescere attraverso il confronto e l’adattabilità. Infine, ha riflettuto su come le scuole possano educare i giovani sui temi della giustizia e della lotta alla mafia, immaginando un futuro scolastico in cui tutti abbiano uguali opportunità di apprendimento e di crescita personale.
Ester, benvenuta su Tuttoscuola. Come si è preparata per interpretare il ruolo di Francesca Morvillo e quali aspetti del carattere della protagonista, ha voluto evidenziare maggiormente nel film?
“Il viaggio per interpretare la Magistrata Francesca Morvillo è stato intenso, pieno di ricerca e amore, delicatezza e anche rabbia rispetto a tutta la dimenticanza nei suoi confronti e per quanto si fosse spesa davvero affinché qualcosa cambiasse davvero”.
Recitare in una storia d’amore e di mafia è una sfida unica. Quali emozioni ha provato nel portare sullo schermo una relazione così intensa e significativa come quella tra Francesca e Giovanni Falcone?
“È stato importante cercare di rendere chiaro il loro sodalizio non solo in quanto amanti ma anche e forse prima di tutto in quanto colleghi, e colleghi anche di valori e desiderio profondo di trovare il modo di abbattere corruzione e rendere Palermo una terra libera”.
Lavorare con Simona Izzo e Ricky Tognazzi come registi deve essere stata un’esperienza particolare. Cosa ha imparato da loro durante le riprese di questo progetto?
“Ho imparato che dagli scontri possono nascere fiori, che si possono cambiare battute anche dopo il ‘motore’ e che ho una grande elasticità mentale e memoria. Loro sono un sodalizio lavorativo ed emotivo, c’è sempre da imparare da chi si “sopporta” per così tanti anni e si continua ad amare e lavorare, lavorare e amare insieme”.
La pellicola tocca temi profondi e complessi, come la giustizia e la lotta contro la mafia. Come potrebbero, secondo Lei, le scuole sensibilizzare i giovani a queste tematiche?
“Tramite i libri di autori che hanno raccontato la terra e altri punti di vista, riaprendo archivi e rileggendo la cronaca nera, facendo un salto nel passato cercando anche di capire come oggi si è evoluta la Mafia. Non ci sono più i meccanismi degli anni ’80, è tutto molto più velato, meno eclatante, i ragazzi hanno bisogno di uno sguardo che permetta loro di avere un sano punto di vista sulle cose, riconoscere e non accettare ciò che è marcio e auspicare il meglio per se stessi e per l’ambiente che li circonda”.
Guardando al futuro, che tipo di scuola immagina per i giovani di domani?
“Immagino una scuola dove si possa stare tanto tempo, dove si possano praticare quasi tutti gli sport, con una biblioteca immensa, una sala cinema, un giardino e anche dei luoghi dove si possa osservare il silenzio, praticare la solitudine e non la iper sollecitazione, dove se la tua famiglia è povera o ricca non importa: lì, fra quelle pareti, tutti avranno le stesse possibilità, stesse attenzioni, e grande cura nella scelta della docenza, all’altezza delle diversità nelle fasi di apprendimento che vanno considerate e non condannate. Un luogo dove i figli non siano schiacciati dalle problematiche o dalle ambizioni dei loro genitori, ma riescano a sviluppare il loro Io, la loro verità. La scuola come diritto e non come obbligo”.
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