
Emozioni che apprendono. Neuroscienze dell’apprendimento emotivo nella scuola dell’infanzia

La scuola dell’infanzia è il primo abbraccio del mondo. Un luogo vivo, fatto di pareti colorate, di cartelloni stropicciati e parole nuove che rotolano tra le mani piccole dei bambini. È lì che il tempo prende forma nelle routine quotidiane, nei piccoli gesti ripetuti con cura, nell’alternarsi di emozioni che scorrono come onde leggere: pianti improvvisi, risate fragorose, timide scoperte, amicizie acerbe che sbocciano come fiori di campo. È qui che si impara a stare con l’altro, a riconoscere un confine e poi a superarlo con uno sguardo, una carezza, un gioco.
La felicità dell’adulto di domani passa per la serenità del bambino di oggi. Ed è nella semplicità – quella di una matita consumata, di un “bravo” sussurrato, di un cerchio disegnato sul pavimento – che si annidano i primi semi dell’umanità. Imparare a riconoscere, rispettare, amare sono gli alfabeti invisibili della crescita, i codici affettivi che preparano il terreno su cui fioriranno conoscenze e competenze.
In una società in cui i bambini sono esposti precocemente a un vortice di stimoli digitali, immagini frenetiche, aspettative performative e ritmi adultizzati, la scuola dell’infanzia diventa un presidio educativo insostituibile. Non è solo il primo spazio istituzionale dell’apprendimento, ma soprattutto un luogo emotivo, in cui si costruiscono le fondamenta invisibili dell’identità e della relazione. È lì che il bambino apprende, ma soprattutto si apprende, riconoscendosi come soggetto capace di sentire, di pensare, di esserci nel mondo.
Le neuroscienze, oggi, ci confermano con chiarezza che il cervello non apprende per compartimenti stagni. L’emozione non è un ostacolo, ma un alleato. Ogni esperienza significativa attiva reti neurali profonde, che consolidano le memorie, stimolano la curiosità, favoriscono la plasticità cerebrale. Il bambino impara meglio quando è felice, accolto e riconosciuto, quando è adeguatamente stimolato, attribuisce significato a ciò che apprende e può esplorare in un clima di fiducia.
Per questo, la scuola dell’infanzia non può limitarsi a “preparare” il bambino al ciclo successivo, come fosse un prologo da archiviare in fretta. Deve invece assumere con coraggio il compito di educare con le emozioni, riconoscendole non come rumore di fondo, ma come forza generativa. Solo attraverso adulti consapevoli, formati, empatici e capaci di guida, potremo davvero costruire un sistema educativo che cresca insieme al bambino, nella sua interezza.
Perché il futuro si comincia a scrivere con le dita sporche di tempera e le domande dette a mezza voce. E in quel presente imperfetto, fatto di lentezze e scoperte, abita tutta la potenza dell’umano che sarà.
Il cervello emozionale in età evolutiva
Nella scuola dell’infanzia, ogni esperienza è prima di tutto vissuta e sentita, ovvero interiorizzata attraverso i sensi e le emozioni prima ancora che attraverso la ragione. L’apprendimento, per potersi radicare nella memoria a lungo termine e generare cambiamenti duraturi nel comportamento e nella conoscenza, deve passare attraverso il corpo in movimento, il gioco esplorativo, la relazione affettiva e, soprattutto, l’esperienza emotiva. I primi anni di vita rappresentano una fase neuroplastica privilegiata, in cui il cervello del bambino si trova in uno stato di straordinaria recettività. Le sinapsi si formano in modo esponenziale e la qualità delle connessioni sinaptiche è direttamente influenzata dal tipo di esperienza vissuta. In questa fase, non solo la quantità ma la qualità degli stimoli determina la robustezza delle reti neuronali. Studi neuroscientifici confermano che le esperienze emotivamente significative attivano aree cerebrali multiple e favoriscono un apprendimento profondo e multisensoriale. È in questo contesto che le emozioni assumono un ruolo centrale nella costruzione delle competenze cognitive, linguistiche e sociali. Le neuroscienze affettive, in particolare grazie alle ricerche di Antonio Damasio e Joseph LeDoux, hanno evidenziato come le strutture sottocorticali, come l’amigdala, siano attive fin dai primi mesi di vita. L’amigdala agisce da filtro emotivo che valuta la sicurezza o la minaccia di ogni stimolo e regola la risposta neurofisiologica conseguente. Le esperienze emotive positive stimolano la curiosità, la motivazione intrinseca e l’apertura all’altro, mentre quelle negative generano uno stato di allerta che può compromettere i processi di attenzione, memorizzazione e problem solving. La qualità emotiva dell’ambiente educativo, dunque, non è un fattore accessorio ma un pilastro su cui si fonda la possibilità stessa di apprendere.
Il ruolo dell’amigdala e del cortisolo nei processi educativi
L’amigdala, centro nevralgico del cervello emozionale, rappresenta uno snodo cruciale nei processi di apprendimento, poiché è responsabile dell’elaborazione delle emozioni primarie come la paura, la rabbia, la sorpresa e la gioia. Nei bambini, il cui sistema nervoso è ancora in via di maturazione, questa struttura si attiva in modo rapido e automatico, specialmente in risposta a stimoli percepiti come nuovi, ambigui o potenzialmente minacciosi. Questa iperattivazione è una forma di difesa ancestrale, ma può interferire significativamente con l’apprendimento se non si inserisce in un contesto affettivo equilibrato. Infatti, le neuroscienze affermano che l’apprendimento non è un processo neutro o meramente cognitivo ma è, piuttosto, profondamente radicato nell’emotività. Quando l’esperienza vissuta dal bambino è positiva, accogliente e accompagnata da un clima di sicurezza relazionale, come nelle situazioni educative fondate sulla fiducia, sull’ascolto empatico e sulla valorizzazione del soggetto, l’amigdala non percepisce una minaccia, e invia segnali che favoriscono un’attivazione armonica del sistema limbico. In tal modo si crea un ambiente neurobiologico favorevole all’apprendimento, in cui l’ippocampo può svolgere efficacemente il suo ruolo nella formazione della memoria a lungo termine, mentre la corteccia prefrontale, sede del pensiero riflessivo, può attivarsi per sostenere funzioni esecutive complesse, come la concentrazione, il controllo degli impulsi e la flessibilità cognitiva.
Al contrario, in presenza di uno stimolo percepito come minaccioso, che può derivare da un clima scolastico giudicante, competitivo, punitivo o ansiogeno, l’amigdala attiva una risposta di allerta che coinvolge l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, generando un picco di cortisolo, noto come l’ormone dello stress. Tale risposta ha implicazioni dirette sull’equilibrio neurochimico del cervello, in quanto l’eccesso di cortisolo, infatti, inibisce l’attività dell’ippocampo e interferisce con l’accesso alle memorie, rallentando i processi cognitivi. Inoltre, compromette la comunicazione tra le diverse aree cerebrali, ostacolando l’autoriflessione e la capacità di rielaborazione emotiva, fondamentali per la costruzione di significati duraturi. Da ciò emerge una verità tanto semplice quanto spesso trascurata che ogni apprendimento significativo, per essere autentico e duraturo, deve poggiare su un terreno affettivo sicuro e stabile. La qualità delle relazioni educative, la percezione di essere accolti e riconosciuti, la possibilità di sbagliare senza paura di essere giudicati rappresentano le condizioni fondamentali perché il cervello possa funzionare in modalità “apprendimento” piuttosto che in modalità “sopravvivenza”.
Comprendere questi meccanismi non è un mero esercizio teorico, ma una responsabilità pedagogica, in quanto significa ripensare l’architettura emotiva dell’ambiente scolastico, promuovendo un’educazione affettivo-relazionale capace di nutrire la mente e il cuore, e di sostenere davvero la crescita integrale della persona. In questa prospettiva, la sicurezza emotiva non è un lusso, ma una necessità biologica. È il presupposto invisibile ma imprescindibile su cui si fondano l’intelligenza, la creatività e la capacità di apprendere con gioia e senso.
Educare alle emozioni come fondamento dell’apprendimento
Riconoscere e nominare le emozioni è il primo passo per imparare a gestirle, integrarle e trasformarle in risorse per la crescita. Questa capacità, nota come alfabetizzazione emotiva, rappresenta una competenza trasversale che si costruisce nel tempo e che ha ripercussioni significative sullo sviluppo dell’intelligenza sociale, dell’autonomia personale e dell’apprendimento scolastico. La scuola dell’infanzia, in questo senso, può e deve diventare uno spazio educativo intenzionale, in cui il bambino sperimenta per la prima volta un linguaggio condiviso delle emozioni, un luogo in cui ciò che si prova viene legittimato, compreso e accompagnato. Le parole diventano strumenti cognitivi ed emotivi insieme, capaci di dare forma e significato a vissuti spesso indistinti, intensi o travolgenti. Il bambino, nel nominare un’emozione, ne prende simbolicamente le distanze, la riconosce come parte di sé e ne inizia la regolazione. Attraverso la narrazione, il disegno, il gioco simbolico, il teatro delle emozioni e la relazione con l’adulto significativo, si costruiscono i primi ponti tra il mondo interno e quello esterno. Questo processo di simbolizzazione emotiva non avviene in modo spontaneo, ma necessita di un contesto relazionale di fiducia, continuità e ascolto empatico. Richiede la presenza costante e consapevole di educatori capaci non solo di accogliere e contenere l’espressione emotiva dei bambini, ma anche di rispecchiarla con uno sguardo competente e rassicurante. Essere ascoltati e accolti, senza giudizio, favorisce la costruzione dell’autostima, del senso di valore personale e della fiducia nell’altro, prerequisiti fondamentali per ogni forma di apprendimento successiva. Educare all’intelligenza emotiva, dunque, non è un obiettivo accessorio ma un principio guida, in quanto significa offrire strumenti per affrontare la complessità della vita, per gestire i conflitti, per costruire relazioni significative e per affrontare con resilienza le sfide dell’esistenza.
Buone pratiche nella quotidianità educativa
L’apprendimento emotivo non è un’attività aggiuntiva, né un contenuto da trasmettere in modo isolato, ma rappresenta una trama sotterranea, profonda e continua che attraversa ogni momento della giornata scolastica. Ogni interazione, ogni sguardo, ogni parola detta o non detta contribuisce a costruire un clima emotivo che facilita o ostacola l’apprendimento. Accogliere il pianto di un bambino senza sminuirlo, riconoscerlo come espressione legittima di un disagio, e rispondere con empatia e contenimento, rappresenta un atto educativo potente. Valorizzare il gesto spontaneo di chi consola un compagno, dare un nome alla rabbia e aiutare il bambino a trasformarla in una richiesta o in un bisogno espresso con parole, significa coltivare le prime forme di autoconsapevolezza e autoregolazione.
Alcune pratiche si sono rivelate particolarmente efficaci nel sostenere questo processo di apprendimento emotivo continuo. La routine del cerchio del mattino, ad esempio, in cui ciascun bambino ha la possibilità di raccontare come si sente, stimola non solo l’espressione del sé, ma anche l’ascolto autentico dell’altro. In questo spazio rituale, si apprende che ogni emozione ha diritto di cittadinanza e che può essere condivisa in modo sicuro. Le storie che parlano di emozioni, selezionate con cura in base all’età e al vissuto dei bambini, diventano mediatori pedagogici preziosi. Attraverso i personaggi, i bambini possono proiettare, identificare, comprendere, rielaborare vissuti che altrimenti resterebbero confusi o repressi. Le attività artistiche e manipolative, come la pittura, il collage, la modellazione, offrono canali alternativi e potenti per l’espressione emotiva, in quanto permettono al bambino di dare forma simbolica a emozioni complesse, difficili da verbalizzare. Infine, la creazione intenzionale di uno spazio calmo, una sorta di angolo dell’ascolto di sé, accessibile in qualsiasi momento della giornata, educa i bambini al riconoscimento dei propri stati interni e alla possibilità di prendersi cura di sé in modo autonomo e rispettoso dei propri tempi. In un contesto educativo che valorizza e istituzionalizza questi momenti, l’intelligenza emotiva non viene insegnata, ma vissuta quotidianamente, divenendo parte integrante del modo di essere, pensare e apprendere del bambino.
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