Education at a Glance 2022: per l’Ocse in Italia i livelli di istruzione sono cresciuti più lentamente. Con Covid Neet in aumento

Fra il 2000 e il 2021 i livelli di istruzione in Italia sono cresciuti più lentamente della media dei paesi OCSE. A dare la cattiva notizia è il report “Uno sguardo sull’istruzione 2022-Education at a Glance 2022″ presentato oggi a Roma da Fondazione Agnelli e Save the Children Italia che hanno commentati i dati emersi.

La parola chiave sembra dunque essere “ritardo”. La quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta infatti di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una crescita in media di 21 punti percentuali. L’Italia resta uno dei 12 paesi OCSE in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia di età. Un ritardo abbastanza preoccupante, se si considera che in tutti i paesi OCSE avere un titolo di studio terziario conviene perché garantisce migliori livelli di occupazione e retribuzione. Il fatto è che il beneficio economico in Italia risulta minore che in altri contesti: nei paesi OCSE in media un laureato nell’arco della vita lavorativa (25-64 anni) guadagna il doppio di chi non ha un titolo di istruzione secondaria superiore; in Italia questo vantaggio è molto meno cospicuo: 76% in più.

“A molti è passata l’idea che l’istruzione c’è e non costa, invece è un investimento importantissimo, parte di una scelta collettiva”, ha commentato il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. “Ho l’impressione che spesso non si abbia questa percezione. I dati emersi sono quelli di fronte ai quali ci siamo trovati quando abbiamo iniziato questa esperienza di Governo. Io posso rendere conto delle scelte fatte da quel momento. Abbiamo investito 4,9 miliardi in Infanzia, di cui 3 miliardi di euro nei nidi. Quando abbiamo fatto i bandi sui nidi ho avuto molti problemi, ho tenuto per tre volte aperto il Sud perché c’era un’enorme trappola che vi voglio raccontare. Mi dicevano che non facevano domanda per i fondi perché le donne non lavorano. Io rigiravo la questione: le donne non lavorano perché non ci sono i nidi. Decidiamo noi qual è la versione vera. E’ una scelta come quella che abbiamo fatto sulle scuole: ricorso che in Italia abbiamo 44mila edifici scolastici. Abbiamo un problema di dimensione, la scuola è la più grossa amministrazione che esista. In questa dimensione abbiamo deciso di investire 500 miliardi in digitalizzazione. Perché se riesco a portare la banda ultralarga in tutti i luoghi, quello diventa il nodo della comunità. Abbiamo vissuto la DaD come un accidente: non abbiamo colto che lo strumento digitale ci obbligava a ripensare la dimensione lavorativa“. 

Il Report pone particolare attenzione al nostro Paese per quanto riguarda i giovani che non studiano e non lavorano, i Neet. Dopo essere salita al 31,7% durante la pandemia nel 2020, la quota di Neet tra i 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021.

Tale quota è diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4% per i giovani tra 20 e 24 anni, ma è poi aumentata fino al 30,1% nel 2021. Questa situazione, evidenzia il report, rischia di perpetuare il circolo vizioso che va dalla povertà economica a quella educativa, e viceversa.

Nel 2019, i Paesi dell’Ocse hanno speso in media il 4,9% del loro Pil per gli istituti di istruzione dal livello primario, la primaria appunto, a quello terziario, l’istruzione universitaria, l’Italia è sotto la media, di oltre un punto percentuale, al 3,8%.

Nell’edizione del report presentata lo scorso anno, il dato relativo al 2018 veniva indicato nel 4,1%. In Italia – evidenzia l’Ocse – la spesa pubblica per l’istruzione da primaria a terziaria è stata pari al 7,4% della spesa pubblica totale, anche questo un valore inferiore alla media dell’Ocse che è del 10,6%. La quota del Pil è un indicatore dell’importanza che i Paesi attribuiscono all’istruzione nelle loro decisioni. Ma poiché i numeri variano a seconda del Pil, dei bilanci pubblici e del numero di studenti, l’Ocse ha calcolato anche l’importo totale del finanziamento per studente: i Paesi dell’Ocse, per i vari livelli di istruzione da primario a terziario, spendono in media 11.990 dollari all’anno per studente per gli istituti di istruzione. Nel 2019, l’Italia ha speso meno: 10.902 dollari per studente; ma la spesa cumulativa dell’Italia per l’istruzione di uno studente da 6 a 15 anni è stata di 105.754 dollari, un dato leggermente superiore alla media dell’Ocse di 105.502. I valori per studente sono, di poco, più alti della media per la scuola primaria e più bassi per la scuola secondaria. Maggiore il divario nella spesa per l’istruzione universitaria, in Italia di 12.177 dollari, contro una media di 17.559, influenzata molto però, sottolinea l’Ocse, dai valori elevati in alcuni Paesi.

Per quanto riguarda gli stipendi degli insegnanti si conferma quello che un po’ già sapevamo tutti: le retribuzioni sono più basse della media e poco dinamiche. L’Ocse rileva come in media, nei Paesi aderenti all’Organizzazione i salari reali variano da 41.941 dollari a livello preprimario a 53.682 nella scuola superiore, mentre in Italia, sono in media di 40.008 dollari a livello preprimario e di 45.870 alle superiori. Inoltre, tra il 2015 e il 2021, in media gli stipendi degli insegnati delle scuole media con 15 anni di esperienza e le qualifiche più diffuse sono aumentati del 6% in termini reali. In Italia, l’aumento degli stipendi è stato pari all’1%. In generale, gli stipendi dei docenti rimangono inferiori a quelli degli altri laureati. In Italia, gli insegnanti delle medie guadagnano il 27,4% in meno rispetto agli altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria. Al contrario, rileva l’Ocse, gli stipendi reali dei dirigenti scolastici in Italia sono molto più alti rispetto ai salari degli altri lavoratori con un’istruzione terziaria. Tale dato è simile a quello della maggior parte dei Paesi dell’Ocse, dove i dirigenti scolastici tendono a guadagnare molto di più rispetto alla media dei lavoratori con un’istruzione terziaria.

Nel confronto internazionale emergono fortunatamente anche alcuni punti incoraggianti, uno su tutti l’elevata percentuale di bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia (92%), dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media OCSE. Nei successivi gradi di istruzione il monte ore (744 alla primaria, 608 alle medie e 608 alle superiori) risulta comunque di poco sotto la media UE (rispettivamente 740, 659 e 642), anche se sono presenti in Italia forti disuguaglianze territoriali nell’offerta di tempo pieno nei gradi inferiori, con le regioni del sud in netto svantaggio rispetto a quelle del nord.

L’indagine presentata contiene anche numerose informazioni sugli effetti del gender gap in istruzione, ad esempio, sottolineando come la nota relazione positiva fra titolo di studio e livelli di occupazione sia particolarmente forte per le donne. Nel 2021 in Italia solo il 31% delle donne in possesso di un titolo d’istruzione inferiore al diploma di scuola superiore erano occupate (media UE, 40%) mentre fra le donne laureate il tasso di occupazione era del 70% (media UE, 83%). Per gli uomini, invece, le differenze sono assai meno marcate: si va dal 64% per chi ha un livello d’istruzione inferiore al diploma secondario (media UE, 66%) al 71% per i maschi laureati (media UE, 88%).

Un’altra declinazione del gender gap compare nell’istruzione universitaria, laddove si segnala che in Italia, come del resto in tutti gli altri paesi OCSE, i tempi di completamento dei percorsi di laurea sono più rapidi per le donne. Nel nostro Paese il 56% delle studentesse consegue la laurea triennale entro tre anni dalla fine dei corsi, mentre questo riesce soltanto al 50% dei loro colleghi maschi.

“Per intervenire alla radice delle disuguaglianze educative è dunque necessario investire sin dalla primissima infanzia, con una rete di asili nido e servizi educativi di qualità accessibili a tutti.  La definizione di un livello essenziale delle prestazioni per raggiungere il 33% della copertura dei servizi in ogni ambito territoriale e l’assegnazione di rilevanti risorse nell’ambito del PNRR per la costruzione di nuovi asili rappresentano passi avanti significativi”, ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children.

“Un grande piano Marshall per l’istruzione: era questo il sogno bello di una pandemia che aveva sottratto porzioni di vita agli italiani”, commenta Giuseppe D’Aprile, segretario generale della Uil Scuola Rua. “Uno slancio ideale, perché in quel momento critico si era perfettamente percepita l’importanza del sistema scolastico nazionale. Oggi – a scuole riaperte con areazione naturale, con carenza di organici e un negoziato all’Aran che non decolla – l’OCSE ci ricorda nel suo rapporto annuale i limiti del nostro sistema. Spendiamo poco per l’istruzione, e lo sappiamo – osserva D’Aprile – oltre un punto percentuale in meno (3,8%) del Pil rispetto ai Paesi dell’Ocse (4,9%). Le retribuzioni dei docenti italiani si confermano più basse della media e – se ciò non bastasse – sono le meno dinamiche (27,4% in meno rispetto agli altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria). Se il 61% dei diplomati al liceo è donna (dato che fa strada in Europa, dove si attesta al 55%) resta ancora alto il livello degli abbandoni scolastici (23%) alle superiori. C’è un 12% di ragazze e ragazzi che non studiano e non lavorano. Mentre il 92% di tutti i bambini di 3-5 anni è iscritto a programmi d’istruzione dell’infanzia (anche qui siamo ai primi posti del report Ocse) è difficile fare una media della frequenza sotto i 3 anni (27%) con oscillazioni che vanno dall’1 al 63%. E’ oggi – spiega D’Aprile – che si decide la scuola di domani. Non si può risparmiare sulla scuola attraverso la quale passa il futuro di questo paese”.

“Uno sguardo sull’istruzione – Education at a Glance” è la principale fonte internazionale che fornisce una comparazione delle statistiche nazionali che misurano lo stato dell’istruzione nel mondo. Oltre al report sull’impatto della crisi COVID-19 sull’istruzione altri interessanti indicatori: la spesa pubblica e privata per l’istruzione; il vantaggio di guadagno dell’istruzione; le dimensioni delle classi, i tempi dedicati all’insegnamento, etc… Il rapporto analizza i sistemi educativi dei 38 paesi membri dell’OCSE, nonché Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Arabia Saudita e Sud Africa.

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