
Ecco Malala, la speranza
“Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo”. Questo breve passaggio conclusivo del discorso pronunciato da Malala Yousafzai a New York, nella sede delle Nazioni Unite, nel giorno del suo sedicesimo compleanno, riassume con rara efficacia un concetto che è stato sviluppato, a partire dalla Conferenza mondiale ONU-Unesco ‘Education for all’ (Jomtien, Thailandia, 1990), da una imponente saggistica, che si è occupata però, purtroppo, più di fallimenti che di successi. Tanto che l’obiettivo di estendere la frequenza della scuola elementare a tutti i bambini e le bambine del mondo è stato spostato dal 2000 al 2015, ed è tuttora lontano dall’essere raggiunto.
A Malala, ragazzina pakistana diventata famosa a soli 13 anni per aver aperto un blog (con il sostegno della BBC), intitolato Diary of a Pakistani Schoolgirl, i talebani avevano sparato alla testa, nello scorso mese di ottobre, con l’intenzione di ucciderla. Volevano uccidere lei ma soprattutto le idee da lei sostenute sull’importanza della scuola e sul diritto delle donne di frequentarla alla pari dei maschi: una bestemmia per i talebani, che non a caso hanno concentrato i loro attacchi sulle scuole femminili o frequentate dalle ragazze.
Può darsi, come ipotizzato in questi giorni dalla stampa inglese, che dietro il lancio planetario della ‘Storia di Malala’ (con ricadute in molti Paesi, Italia compresa: da noi uscirà nei prossimi giorni da Mondadori un libro per ragazzi con questo titolo) ci siano anche cospicui interessi mediatico-editoriali. Però il mondo intero ha potuto cogliere il coraggio e la fierezza che risuonavano nelle parole pronunciate da Malala nella sede delle Nazioni Unite. Davvero la scuola non poteva trovare una testimonial più efficace.
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