E’ la volta buona per lo psicologo nella scuola?/1

Mettere l’allievo al centro dell’azione educativa e didattica significa occuparsi non più soltanto dell’alfabetizzazione culturale, ma della formazione di tutte le dimensioni della sua personalità e cioè prestare attenzione agli aspetti emotivi, affettivi del singolo, in relazione con gli altri nella comunità scolastica e sociale.

Il passaggio epocale è rappresentato dalla gestione comunitaria della scuola, con la partecipazione in primis degli stessi studenti, dei genitori, della società civile ed economica del territorio. In questa nuova prospettiva alla psicologia è stato attribuito un ruolo importante, per migliorare la conoscenza delle persone, sia come soggetti in formazione, sia in quanto capaci di una vita associata.

Le professionalità di tipo psicologico sono state affiancate a quelle mediche, al tempo dedite alla vaccinazione di massa in contrasto alle malattie infettive infantili, fino alla riforma sanitaria, che aveva affermato il principio non solo della cura, ma della promozione della salute, dato che era manifestato nello stesso periodo in diversi pronunciamenti internazionali.

La predetta riforma, in linea con la gestione sociale della scuola, aveva cercato di diffondere il valore della salute nei vari territori attraverso strutture sanitarie chiamate “consultori” pluridisciplinari che a loro volta dovevano interagire con le tematiche e i luoghi dell’educazione. E’ in tali strutture che gli psicologi ebbero una piena valorizzazione, sia sul piano della cura, agli inizi mirata alle tossicodipendenze, sia della prevenzione, assumendo una funzione di supporto all’azione educativa, in quanto altre patologie, oltre a quelle fisiche, stavano interessando i giovani. Essi si trovarono poi al centro di altre equipe, insieme al neuropsichiatra infantile, nel momento in cui venne decretata l’integrazione dei soggetti disabili nelle classi comuni.

Sembrava essere stato raggiunto un equilibrio tra la presenza degli psicologi nella sanità territoriale e in quella scolastica, ma venne il tempo delle vacche magre ed i tagli del finanziamento pubblico al settore sanitario privilegiarono la cura e conseguentemente la medicina, diminuendo o addirittura eliminando la componente psicologica dal servizio generalizzato alla collettività. Nessuno si preoccupò di comunicare tale tendenza alle scuole, le quali si trovarono sempre più sole ad affrontare i problemi della salute psichica, ed anche nel settore della disabilità molte incombenze ricaddero sugli insegnanti di sostegno che lamentavano scarsa preparazione ad affrontare gli aspetti clinici.

Seppure in presenza di una normativa che richiedeva interventi nel settore delle dipendenze, nel frattempo fattesi sempre più estese e pressanti, risultava difficile poter disporre di prestazioni da parte delle Unità Sanitarie Locali, divenute addirittura interprovinciali, e quindi spesso le scuole dovevano ricorrere ad altri enti e specialisti, con finanziamenti reperiti sul territorio o addirittura come prestazioni private a carico delle famiglie. Sulla base di queste esigenze iniziarono a fioccare le proposte di legge sull’introduzione dello psicologo nelle scuole, forse in quel periodo più richiesto del medico, reperibile negli ambulatori del territorio o al pronto soccorso degli ospedali, ma nessuna di esse fu discussa in Parlamento, mentre tale figura iniziava ad entrare nelle scuole di altri Paesi europei.

Vediamo come si è evoluta la situazione in questa notizia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA