Didattica a Distanza: tra device e competenze digitali, i ragazzi sono davvero pronti?

Di Valeria Briscolini

Dal prossimo 7 gennaio gli studenti torneranno in classe, anche se quelli delle superiori ancora al 75%. I giovani obiettano che nel frattempo nulla sarà cambiato. Ma finora che cosa è stato fatto? Può aiutarci una disamina dei dati, soprattutto per verificare se le dichiarazioni uscite dal Palazzo nei mesi appena trascorsi combacino con un’effettiva messa a disposizione di fondi e risorse per l’emergenza scolastica. La Fondazione Openpolis – che ha come proprio obiettivo istituzionale la ricerca della trasparenza appunto  attraverso la raccolta di dati – nota che dei 16 miliardi spesi dallo Stato per acquistare materiali e forniture nell’emergenza Covid soltanto il 4 per cento è stato indirizzato a infrastrutture, arredi e attrezzature scolastiche.

Spese che si sono concentrate principalmente sull’adeguamento edilizio delle strutture e sull’acquisto di sedie e banchi monoposto, in vista della riapertura avvenuta a settembre. Tuttavia con l’arrivo della seconda ondata di contagi la didattica a distanza (DAD) è ripresa per tutte le classi superiori e – per le regioni diventate zona rossa secondo il DPCM del 4 novembre (Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria) – le lezioni a distanza sono ricominciate anche a partire dal secondo anno della scuola secondaria di primo grado. E la DaD per molti continuerà anche dopo le vacanze di Natale.

La didattica a distanza rischia di incrementare le disuguaglianze sociali già esistenti tra i ragazzi per il background familiare, nonché per fattori economici e territoriali. La digitalizzazione della scuola potrebbe causare lo sviluppo di un digital divide, di un divario digitale, tra quegli studenti che hanno più dimestichezza con la tecnologia e quelli che invece le sono del tutto estranei. Basti pensare a chi non ha l’accesso a internet, a chi non possiede un computer o a chi magari lo deve condividere con i fratelli. Inoltre non tutti hanno un tipo di connessione veloce o le competenze digitali adatte.

Secondo i dati ISTAT 2019, infatti,  il 24% delle famiglie italiane non ha accesso a internet da casa. Di queste famiglie più della metà non naviga in rete perché nessun componente del nucleo sa usare internet, mentre il 9% non si può connettere a causa dell’alto costo del collegamento. Sempre nel 2019, i bambini tra gli 11 e i 14 anni e i ragazzi tra i 15 e i 17 che non usano il pc sono rispettivamente il 22,8 % e il 18,3%, un dato da monitorare considerando che – come già detto – tutte le classi superiori e per alcune regioni anche le seconde e terze medie hanno ripreso la didattica da casa.

Inoltre il digital divide non è uniformemente distribuito nel Paese. Infatti a livello geografico gli studenti del Sud mostrano livelli di accesso alle tecnologie inferiori a quelli dei loro coetanei del Centro e del Nord. In particolare nella maggior parte delle regioni del Mezzogiorno la percentuale di persone che non utilizzano il computer supera il 50%.

Anche la questione della connettività varia da regione a regione. Ad esempio nelle zone periferiche del Paese è spesso difficile avere una buona connessione. Dalla mappa sottostante, basata sui dati di Agcom e Istat, emerge la percentuale di famiglie con connessione internet inferiore ai 2 Mbps (per la didattica a distanza sono come minimo necessari tra i 10 e i 25 Mbps). In blu viene indicata la maggior percentuale di famiglie con bassa connettività: questo colore percorre tutta la catena degli Appennini da Nord a Sud e caratterizza anche i territori settentrionali vicini ai confini nazionali.

Ma cosa succede se ci concentriamo invece su tipi di connessione più potenti? Analizzando i dati ISTAT notiamo come in alcune regioni del Sud – Basilicata, Calabria e Sicilia  – le famiglie che dispongono di una connessione a banda larga (ADSL) sono soltanto il 41%, quindi neanche la metà. Per connessione a banda larga si intende un tipo di connettività che mediamente arriva fino a 20 Mbps di velocità. Una connessione sufficiente ma che sta già diventando obsoleta a causa della grande quantità di dati attualmente trasmessi in rete. Questo deficit viene superato dall’avvento della più veloce banda ultra larga sia fissa che mobile (fibra ottica e 5G). Durante la quarantena e ancora oggi con la persistenza dello smart-working e della didattica a distanza, la connessione ADSL risulta insufficiente se in casa due o più persone si connettono contemporaneamente a internet per effettuare videochiamate o seguire lezioni online. Operazioni invece possibili grazie alla fibra ottica che permette una velocità maggiore fino a 100 Mbps, che tuttavia ancora non è disponibile nelle aree rurali del paese.  Come infatti possiamo notare dalle mappe messe a disposizione da Agcom, la percentuale di copertura della banda ultralarga ad esempio in Calabria è estremamente bassa: si aggira tra il 3 e il 4% nelle province di Cosenza, Crotone e Vibo Valentia, mentre nella provincia di Catanzaro, capoluogo di regione, riesce a raggiungere a malapena il 12%. Solo il territorio di Reggio Calabria arriva a un timido 27%.

Dai dati risulta quindi chiaro quanto possa essere stato e quanto ancora sarà difficile per alcuni ragazzi seguire le lezioni da casa. La didattica a distanza potrebbe pertanto creare divari digitali in una regione come la Calabria, che oltre ad avere una bassa connettività, adesso – in seguito al nuovo DPCM del 4 novembre – è stata inserita tra le regioni in zona rossa.

Non è un aspetto da sottovalutare in quanto a lungo termine potrebbe veramente avere un impatto negativo sulla vita di tanti studenti, che già ora sono spinti ad abbandonare gli studi. Infatti i dati dell’Istat ci mostrano che la Calabria ha una tra le più alte percentuali anche per quanto riguarda l’abbandono precoce degli studi (quasi il 20% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni). Un valore che a questo punto rischia di aumentare nel futuro a causa delle disuguaglianze create da un lungo periodo di didattica online per la maggior parte degli studenti.

Per evitare che il divario digitale inasprisca le disuguaglianze già presenti tra i giovani a livello economico e territoriale, lo Stato deve intervenire con un sostanziale potenziamento della digitalizzazione scolastica. Per limitare l’impatto negativo che il Covid ha avuto anche sull’istruzione, la spesa pubblica in ambito scolastico non può limitarsi all’acquisto di banchi monouso, sedie, mascherine e gel igienizzanti. Del resto era prevedibile una seconda ondata di contagi e la conseguente chiusura, seppur parziale, delle scuole. 

È pure vero che con il decreto Cura Italia lo Stato ha messo a disposizione 85 milioni di euro per potenziare la didattica digitale. Queste risorse sono state distribuite in diversi direzioni:

  • 70 milioni di euro a disposizione per gli studenti meno abbienti per l’acquisto in comodato d’uso di dispositivi digitali personali, nonché per la necessaria connettività di rete. Si tratterà in particolare di bonus pc, tablet e internet da 500 euro per chi ha un Isee inferiore ai 20 mila euro, oltre ad altri bonus del valore di 200 euro, spendibili solo per internet, per chi ha meno di 50 mila euro di Isee;
  • 10 milioni di euro per consentire agli istituti scolastici di dotarsi immediatamente di piattaforme e strumenti digitali o di potenziare quelli già in dotazione;
  • 5 milioni di euro per formare il personale scolastico sulle metodologie e tecniche per la didattica a distanza.

Il grafico seguente illustra la distribuzione degli 85 milioni di euro per la DAD dal punto di vista regionale. Si nota subito che la Lombardia, la regione sicuramente più colpita dal Covid ma anche con la maggior densità di popolazione e di conseguenza di studenti, ha ricevuto il maggior numero di fondi per la didattica a distanza.

Ad ogni modo il potenziamento della scuola digitale non può solamente limitarsi a fornire dispositivi tecnologici come pc, tablet o la connessione internet, che sono solamente il presupposto di una didattica digitale. Questi strumenti da soli non bastano e devono essere accompagnati da un’alfabetizzazione tecnologica che dia a tutti la possibilità di imparare a utilizzarli al meglio.

Secondo i dati Istat del 2019 il 28,7% dei ragazzi tra i 16 e i 19 anni possiede basse competenze digitali. Inoltre se si analizzano le principali attività svolte dai giovani sul computer si nota che quasi l’80% degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni usa internet per giocare e scaricare videogame, immagini, musica e film, mentre quando si tratta di leggere giornali, informazioni e riviste la percentuale si abbassa di molto (il 22% dei bambini tra gli 11 e i 14 anni e il 42% dei ragazzi tra i 15 e i 17). Addirittura la percentuale di loro che nel 2019 ha svolto un corso online era solo del 9%.

Con queste premesse quindi, quanto i ragazzi sono effettivamente pronti ad utilizzare gli strumenti digitali messi loro a disposizione per studiare? Sicuramente può essere utile fare un confronto con il resto dell’Europa.

Innanzitutto possiamo fare un primo paragone tra i Paesi europei sulle competenze digitali a livello generale monitorando i dati forniti dall’indice DESI (Digital Economy and Society Index), un indicatore composito che riassume lo sviluppo di una nazione per quanto riguarda la digitalizzazione dal punto di vista sociale ed economico.

Già da questo primo grafico possiamo constatare che in quanto a competenze digitali di base relative alle persone tra i 16 e i 74 anni l’Italia si trova tra gli ultimi posti, seguita solamente da Romania e Bulgaria. Soltanto il 41,5 % degli italiani rientranti in questa fascia d’età possiede capacità digitali di base, praticamente la metà della percentuale in Olanda.

Il grafico successivo mostra invece i dati Eurostat relativi al 2019 riguardo all’utilizzo che i ragazzi tra i 16 e 19 anni fanno di internet per attività didattiche come studiare attraverso piattaforme educative, comunicare con gli insegnanti su portali o web, oppure seguire un corso online. La posizione dell’Italia è tra le ultime, precedendo solamente i paesi dell’Est Europa, la Turchia e la Grecia. Mentre in Svezia e Inghilterra la percentuale è rispettivamente del 73% e del 61%, in Italia solo la metà dei ragazzi studia online.

Infine gli studenti non sono ovviamente gli unici che hanno bisogno di sviluppare competenze digitali. Anche gli insegnanti, di fronte all’emergenza Covid e alla chiusura delle scuole, si sono trovati impreparati alla gestione delle lezioni online. La didattica a distanza presenta differenze e richiede abilità sui generis rispetto all’insegnamento tradizionale. Agli insegnanti è chiesto di lavorare con delle piattaforme di condivisione online, di reinventare il metodo di valutazione, di sostenere il lavoro autonomo degli studenti ma anche di stimolare l’attenzione e l’interazione tra i ragazzi, il tutto lavorando dietro uno schermo.

Perciò è fondamentale una preparazione ad hoc anche per i professori, a maggior ragione in vista di un anno scolastico che al momento almeno per le classi superiori potrebbe continuare a casa.

Secondo i dati TALIS (Teaching and Learning  International Survey), forniti dall’OCSE nel 2018, il 16,6 % degli insegnanti riteneva che un’approfondita formazione professionale in ambito digitale fosse necessaria per lo sviluppo dell’insegnamento, mentre solo il 35% si sentiva preparato ad utilizzare la tecnologia per scopi didattici. Per concludere, la percentuale di insegnanti italiani che nel 2018 faceva utilizzare spesso o sempre il computer per studiare è del 46%, leggermente sotto la media dei paesi OCSE. Sono impressionanti invece i numeri della Danimarca che raggiungono il 90% per quanto riguarda l’uso del computer per svolgere i compiti.

In conclusione, al di là dell’emergenza Coronavirus, è necessario programmare soluzioni a lungo termine, che non si concentrino esclusivamente sulla sanità, ma che dovrebbero guardare anche al potenziamento di altri ambiti, fondamentali a livello sociale ed economico.

Bisogna investire sul settore scolastico, anch’esso duramente colpito dall’impatto negativo della pandemia. Inoltre, poiché gran parte degli studenti sta continuando a seguire una didattica a distanza (e, ripetiamo, chissà fino a quando), è fondamentale investire nella digitalizzazione della scuola, in strumenti tecnologici, connessione internet e sulla formazione digitale sia dei giovani che degli insegnanti. In questo modo si eviterà il rischio di nuove disuguaglianze educative.

Infine una digitalizzazione del nostro Paese non si dovrebbe solamente limitare ad affrontare le sfide che la pandemia ci ha posto davanti. Al contrario, dovrebbe spingersi oltre le mere necessità che l’emergenza ci richiede di colmare. Sicuramente non si può sostituire la scuola in presenza, perché rappresenta una fase della vita basilare, in cui si cresce, si impara, si sviluppa la propria personalità, si interagisce con l’altro e si creano legami. Inoltre per alcuni indirizzi scolastici più professionalizzanti, nel cui piano di studi sono previste attività pratiche, la didattica a distanza non può sostituire le ore di laboratorio. In ogni caso viviamo in un mondo sempre più digitale e interconnesso, in cui la tecnologia ci può aiutare a semplificare la nostra vita, rendendo più efficiente il lavoro e lo studio, riuscendo ad abbattere confini e barriere. Perciò una sempre più costante digitalizzazione del Paese e uno sviluppo delle competenze digitali di tutti, sin dall’infanzia, è fondamentale per stare al passo con i tempi.