DIARIO. Addio a Toni Negri, il più colto dei ‘cattivi maestri’

Sentii parlare di Toni Negri per la prima volta all’Università Statale di Milano, dove ero iscritto alla facoltà di Filosofia. Se ne parlava tra studenti perché uno dei suoi primi lavori – il saggio su “Stato e diritto nel giovane Hegel” del 1958 – era tra i materiali di studio indicati da uno dei professori più prestigiosi (credo Enzo Paci), ma più probabilmente anche perché le sue idee si incrociavano con quelle che Mario Tronti, Raniero Panzieri e altri teorici dell’autonomia operaia andavano elaborando nella rivista “Quaderni piacentini”, allora molto letta e discussa tra i giovani dell’estrema sinistra in cerca di una svolta rivoluzionaria fuori e oltre il PCI.

Dalla crisi di identità del PCI di allora, percepito come immobilista, si poteva in effetti uscire solo in due direzioni opposte: o a sinistra con una frattura storico-culturale di segno rivoluzionario e egualitario (che fu la strada che vide in Toni Negri il teorico, così ora rimpianto dal suo discepolo Luca Casarini), o a destra, conciliando i valori del socialismo con quelli della democrazia liberale, che fu la scelta di alcuni intellettuali che uscirono dal PCI di allora (il più noto fu Antonio Giolitti) e fu anche la mia.

Toni Negri ha pagato la sua intransigenza teorica con il carcere e con un lungo esilio a Parigi (molto peggio e’ andata alle vittime del terrorismo), dove si è ritrovato con molti italiani accusati di terrorismo lì rifugiatisi perché protetti dalla cosiddetta “Dottrina Mitterrand”, che concedeva loro asilo politico in Francia. Molti di essi, come ancora oggi Casarini, lo hanno considerato un “Maestro”. Maestro di spirito rivoluzionario. Ma, visto l’esito catastrofico e sanguinoso delle loro azioni, molti ora ritengono che Negri sia stato un “cattivo maestro”, usando l’espressione che Gramsci aveva riservato agli intellettuali conniventi con il fascismo. “Cattivo” perché ha di fatto ingannato e illuso se non una generazione (si trattò pur sempre di una minoranza) molti giovani affascinati dalle sue utopie palingenetiche, fonte di ispirazione per molti studenti del Sessantotto, che in nome di esse occuparono le scuole (anche quella dove insegnavo io da giovane professore, l’ITIS Molinari di Milano,) sventolando le bandiere e i sogni di “Avanguardia operaia” e di “Lotta continua”.
Toni Negri ha negato di essere stato un “cattivo maestro”. Forse si è illuso, e certamente ha illuso tanti giovani.

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Farewell to Toni Negri, the most cultured of the “bad teachers”

I heard about Toni Negri for the first time at the University of Milan, where I was enrolled (not attending, but informed) in the Faculty of Philosophy. It was talked about among students because one of his first works – I believe the essay on “State and law in the young Hegel” of 1958 – was among the study materials indicated by one of the most prestigious professors (I think Enzo Paci), but more probably also because his ideas intersected with those that Mario Tronti, Raniero Panzieri and other theorists of workers’ autonomy were developing in the magazine Quaderni Piacentini, then widely read and discussed among the young people of the far left in search of a revolutionary turning point outside and beyond the PCI (Italian Communist Party).

From the identity crisis of the PCI at the time, perceived as immobilist, it was in fact only possible to emerge in two opposite directions: either to the left with a historical-cultural fracture of a revolutionary and egalitarian nature (which was the path that saw in Toni Negri the theoretician and the Master, so now regretted by his disciple Luca Casarini), or on the right, reconciling the values ​​of socialism with those of liberal democracy, which was the choice of some intellectuals who left the PCI at the time (the best known was Antonio Giolitti) and was mine too.

Toni Negri paid for his theoretical intransigence with prison and a long exile in Paris (things went much worse for the victims of terrorism), where he found himself with many Italians accused of terrorism who took refuge there because they were protected by the so-called “Mitterrand Doctrine”, which granted them political asylum in France. Many of them, like Casarini still today, considered him a “Master”. Master of revolutionary spirit. But, given the catastrophic and bloody outcome of their actions, many now believe that Negri was a “bad teacher”, using the expression that Gramsci had reserved for intellectuals conniving with fascism. “Bad” because he deceived and deluded, if not a generation (it was still a minority), many young people fascinated by his palingenetic utopias, a source of inspiration for many students of 1968, who occupied schools in their name (even the one where I taught as a young professor, the ITIS Molinari in Milan) waving the flags and dreams of “Avanguardia operaia” and “Lotta continua”.

In some way Toni Negri was a protagonist of post-war Italian history, including that of schools. Was he a “bad teacher”? He never recognized it in life. Perhaps he deceived himself, and he certainly deceived many young people. Maybe he was a dreamer. Now may he rest in peace with his dreams and his torments.

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