Di fronte alla crisi educativa in atto è importante non lasciar correre

Di Teresa Madeo*

L’impatto destabilizzante del COVID-19 ha toccato, con molteplici ambiguità, il corpo e la corporeità di ragazzi e di docenti. È il “corpo” docente, insieme a quello degli allievi, che è stato plasmato e investito dalla dinamica distanza/vicinanza, sicurezza/insicurezza, presenza/assenza, chiedendo di pensare il riposizionamento del corpo, condizione primaria dell’esperienza, che emerge così al centro dell’esercizio della professionalità docente. Una mutazione antropologica, uno stile di vita definito “esagerato”, una sessualità precoce, la vasta funzione assunta dal gruppo dei coetanei, la disordinata moltiplicazione delle esperienze sono tutti segni che portano a ritenere che lo sviluppo dei figli adolescenti possa assumere direzioni incontrollate, irrazionali e preoccupanti. Come i fatti stanno dimostrando che confermano una pervasiva mentalità individualistica e forme di relativismo etico e di nichilismo. L’individuo riceve una molteplicità di messaggi contraddittori ed è incapace di elaborare una visione unitaria della vita e dell’educazione, una paideia significativa, moltiplicando così proposte differenti ed illogiche. E queste inducono gli adulti e gli stessi adolescenti a cadere entro la cultura del disorientamento, dell’indifferenza e del lasciar fare, cosa che genera un profondo stato di ansia e di angoscia. In tale condizione di insicurezza esistenziale può accadere che a 15 anni, l’adolescente si ribelli e scelga di andarsene; che il docente sia maltrattato dai suoi alunni, sempre più aggressivi e arroganti; che la coppia svanisca; che i genitori siano in crisi, demotivati e stressati.

Non si tratta allora di contrapporre alla trasformazione che ci invade con ritmo incredibile un “umanesimo vecchio stampo”, ma di elaborare un percorso fondato sulla centralità dell’individuo e sui valori universali. Un processo che esalti lo spirito, una parola scomparsa dalla scienza, dalla famiglia e dalla scuola, ma che è capacità di dare senso all’essere umano e all’intera realtà, stabilendo sicure “frontiere morali”. Il richiamo poi al consumismo e all’edonismo con una scuola sempre più lassista e permissiva seducono l’adolescente, riducendone l’autonomia di giudizio e di critica, nonché la capacità di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. Il risultato sono una grande solitudine, un vuoto esistenziale, una forte incomunicabilità e un grave disagio mentale.

I ragazzi crescono quindi insicuri, ansiosi e privi di autonomia. Hanno molte conoscenze, ma sono più immaturi degli adolescenti di ieri. Così crescono sempre più adulti frustrati, insoddisfatti ed egoisti, ed emotivamente fragili, lontani dai veri bisogni dei figli. I quali giorno per giorno finiscono con l’assorbire la pedagogia dell’orrore attraverso l’uso compulsivo di internet, televisione, droga, violenza, aggressività, arroganza. Un deserto di insensatezza. Anche la scuola è condizionata dal mito della “neutralità educativa” a causa di certa pessima cultura pedagogica. Deve solo insegnare, cioè informare, un sapere senz’anima e senza coscienza. È l’esaltazione delle illusioni, dell’ideologia dei luoghi comuni e delle “subdole mistificazioni”.

Tutto ciò mostra come le teorie pedagogiche ed educative siano caratterizzate da una molteplice, frammentata, astratta e disorganica congerie di idee. Non esiste alcuna teoria ampiamente riconosciuta di pedagogia, così come non esiste alcun concetto di educazione. Questo è il motivo principale della crescente fragilità scientifica della pedagogia e dei sistemi educativi, che presentano incertezze epistemologiche, formule astratte, idee vacue, inconsistenti e senza alcuna base scientifica. Pur nella proliferazione di tanti soggetti che si atteggiano a “maestri”, essi vivono una stagione di “orfanità”, soffrono la mancanza di padri e madri sicuri e autorevoli. In questa concezione, l’emergenza educativa riguarda non soltanto contenuti e metodi, ma il senso autentico di “fare educazione”. Un processo intellettivo, emotivo, sociale e morale globale e unitario, sorretto da un principio antropologico: abbiamo bisogno di educazione non tanto per essere buoni cittadini, ma semplicemente per essere uomini. Siamo preda di un complesso, delicato e aggrovigliato insieme di sintomi, come l’ideologia del permissivismo; si professa l’irrilevanza e l’annullamento della figura e del ruolo del docente, il quale ha perduto l’autorità, il senso di sé e della sua missione; il suo disconoscimento da parte della società e delle famiglie; assistiamo al dilagare del bullismo dentro e fuori le aule, al crescente sentimento di ostilità tra scuola e famiglia, le quali invece sono alla base del processo educativo, sociale, mentale e morale del bambino; subiamo la inadeguata azione delle istituzioni e della politica.

Attualmente ciò che accumuna famiglia e scuola è la difficoltà a fungere da modello per i ragazzi, ad essere autorevoli. Una intera generazione è stata lasciata senza padri né maestri, nella solitudine di rapporti virtuali, in assenza di esperienze significative in cui costruire relazioni vere. Tra scuola e famiglia vi è l’esigenza di stringere un patto educativo per aiutare i nostri ragazzi fornendo loro una direzione che dia senso all’esistenza; è tempo che entrambe si impegnino per ricostruire una trama di rapporti non superficiali, capaci di generare valori. Tra scuola e famiglia vi è l’esigenza di stringere un patto educativo per aiutare i nostri ragazzi fornendo loro una direzione che dia senso all’esistenza; è tempo che entrambe si impegnino per ricostruire una trama di rapporti non superficiali, capaci di generare valori. l’attuale crisi rischia di fungere da detonatore per la crescita della dispersione scolastica e del numero dei cosiddetti NEET: i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi. In un Paese che già registrava tassi di dispersione superiori alla media europea assisteremo probabilmente a un ulteriore aumento; stessa cosa per l’esercito di 2 milioni 189 mila NEET, pari al 22,2% dei giovani, che ci pone all’ultimo posto in Europa. Dove quasi certamente resteremo.

In un quadro così complesso, tre sono le strategie che andrebbero adottate con decisione. La prima è considerare la scuola e i servizi educativi per la prima infanzia come “servizi essenziali” e garantirne quindi il funzionamento, in sicurezza, anche nelle fasi di maggiore recrudescenza del virus. Si tratta dell’unica strada percorribile per ridurre i costi di lungo periodo dell’attuale crisi e non penalizzare ulteriormente i più giovani. La seconda e la terza strategia mirano invece a contrastare la povertà materiale di bambini e ragazzi. Povertà materiale e povertà educativa tendono a rinforzarsi reciprocamente: i bambini che appartengono a famiglie svantaggiate spesso conseguono peggiori risultati a scuola e hanno meno opportunità di partecipare ad attività culturali e ricreative. Nel breve periodo è allora necessario mettere in campo azioni utili a garantire, rafforzare situazioni fortemente penalizzate dalla pandemia.

L’imperativo è fare presto. L’emergenza educativa è un fenomeno che riguarda non solo la scuola, ma la famiglia, la società, i diversi luoghi che contribuiscono all’educazione delle nuove generazioni. In effetti l’emergenza mostra i suoi effetti nei più giovani e nei luoghi della loro vita, ma la sua origine è nella generazione adulta, in tutti coloro che hanno delle responsabilità nella società. La crisi dell’educazione è mancanza di punti di riferimento, è difficoltà per gli adulti di offrire ai più giovani delle ragioni di vita e una lettura della realtà che abbia un senso e sia capace di orientare, impegnare e affascinare i ragazzi e i giovani. Una generazione adulta svuotata dal consumismo, povera di valori, superficiale nel suo rapporto con la realtà, affaticata da un ritmo di vita in cui c’è poco posto per la persona, stenda a gettarsi in quella splendida avventura che è trasmettere ai giovani ragioni di vita e di speranza. Certo non tutti gli adulti rispondono a questo ritratto pessimista, ma il clima diffuso è di questo tenore.

I giovani si affacciano più con spavento e noia che con interesse al mondo nel quale domani saranno i protagonisti e crescono in una grande solitudine. La necessità di discutere sul tema scuola- famiglia nasce spontaneamente quando ci si trova di fronte ai sempre più frequenti episodi di “emergenza educativa” riportati dai mass media, quando troppi genitori esprimono disagio nella gestione dei figli e troppi bambini manifestano comportamenti di ribellione; quando gli insegnanti lamentano difficoltà gestionali anche in classi di scuola primaria e fatica nella relazione con i genitori nel condividere un progetto educativo. Analizzando le generazioni di venti o trent’anni fa, possiamo dire che qualcosa è cambiato; sono cambiati ragazzi e bambini, poiché è mutato il modo di vivere delle nostre famiglie, in quanto la sua stabilità e la sua identità, sono messe in crisi da una nuova e diversa situazione sociale che viene definita “fluida”. I giovani sono cresciuti senza regole, quindi soli, senza rete di sicurezza, senza obbiettivi e senza senso.

Vediamo sempre più genitori che concepiscono il loro ruolo non tanto come guida che aiuta l’altro ad essere se stesso, quanto piuttosto come servitore delle necessità biologiche dei figli a cui permettono un potere decisionale sui loro bisogni. Il risultato sono bambini dittatori, ansiosi e che interpretano un ruolo che non è il proprio. Ci troviamo davanti una generazione di figli unici che cerca di colmare la propria solitudine guardando la Tv e navigando su Internet; questo fa sì che i nostri giovani siano nutriti di informazioni astratte, altrettanto vero è che sono poverissimi di esperienze reali e quindi vengono messi in crisi facilmente dalla scuola reale. Un bambino per crescere in modo equilibrato ha bisogno di due compagni insostituibili: i coetanei, con cui può condividere esperienze reali e concrete, e gli adulti, che lo aiutino a leggere il proprio vissuto. Attualmente ciò che accumuna famiglia e scuola è la difficoltà a fungere da modello per i ragazzi, ad essere autorevoli. Da difficoltà diventi un nuovo, continuo obiettivo.

*Docente Utilizzata per i Progetti Nazionali Presso USR per la Toscana

© RIPRODUZIONE RISERVATA