Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Dal dire al fare: costruire unità di apprendimento in un’ottica inclusiva

di Teresa Natale  

L’articolo seguente è a carattere introduttivo: presenta alcune riflessioni di base per l’elaborazione di  unità di apprendimento in ottica inclusiva, per la scuola primaria che, a titolo esemplificativo, verranno periodicamente proposte. 

 Riflettere su un’azione didattica significa parlare, per metafora, di un lungo tragitto, di una via da percorrere per giungere ad un traguardo concreto: la via non è però lineare, i passi non sono mai sequenziali. Per non perdersi, occorre predisporre un itinerario: le unità di apprendimento sono i passi di questo percorso, tratti che, in continuità, offrono panorami, visioni, opportunità e stimoli nuovi verso ciò che è culturalmente significativo.

Implementare un percorso didattico necessita allora di un’azione mirata, razionale, significativa per ogni alunno, tenendo conto della specificità di ciascuno. È necessario che l’insegnante, nell’elaborazione di una unità di apprendimento, sia consapevole delle diverse velocità, dei diversi passi, e a volte dei diversi itinerari, per mezzo dei quali ogni alunno giunge ad un proprio, personale traguardo.

Per facilitare la declinazione di un eventuale percorso didattico, ogni docente deve tener conto della singolarità di ogni alunno. È importante quindi avere una guida che aiuti nella riflessione sull’opportunità di rielaborare per uno specifico caso ciò che viene proposto al gruppo-classe. Si tratta di un’azione che ci permette di ponderare la validità della nostra azione, prima ancora della realizzazione pratica. Nei percorsi di insegnamento/apprendimento pensati per i casi maggiormente problematici, è fin troppo facile, a volte, cedere a forme di esclusione non esplicite che allontanano l’alunno da esperienze formative condivise con il gruppo-classe in cui è inserito: esistono modalità di esclusione implicite, non evidenti, ma non per questo meno invalidanti dal punto di vista della crescita sociale del soggetto in formazione.

Nel momento stesso in cui viene implementata un’unità di apprendimento, indipendentemente dalla sua struttura e dalle modalità di organizzazione dei concetti-chiave, occorre porsi alcune domande, semplici e necessarie, per rielaborare ogni percorso adeguandolo alle specificità dell’alunno in situazione di svantaggio.

Sarebbe opportuno chiedersi realisticamente a quale alunno stiamo pensando, ovvero riflettere su quali siano le oggettive specificità che pongono in discussione l’azione progettuale. Occorre domandarsi: quali obiettivi devono essere modificati, in che modo, a quale livello di facilitazione si deve giungere? Di quanto tempo ha bisogno l’alunno e, soprattutto, come concordare le diverse velocità di ognuno? Ma prima di ogni domanda, ce n’è un’altra, legata a motivazioni di natura pedagogico-didattica, etiche e sociali, morali e professionali che ci spingono a ripensare un lavoro in termini di una flessibilità che è il prodotto di una mediazione didattica che si rende tangibile nella semplificazione non banale dei contenuti e degli oggetti dell’apprendere, nella continua ristrutturazione di proposte non diverse da quelle degli altri, ma solamente tradotte in linguaggi facilmente comprensibili dal bambino in difficoltà. Questa domanda può concretizzarsi nel confronto tra docenti sull’effettiva validità di ciò che viene proposto ad ogni singolo alunno, per non anteporre il sapere codificato al valore della formazione.

L’azione dell’insegnante si apre così ad una nuova complessità e ad un’ulteriore sfida: l’inclusione non apparente, ma fondata sulla partecipazione attiva dell’alunno nella piena espressione delle proprie modalità di apprendimento; una partecipazione non vissuta come opportunità breve e saltuaria nell’ambito della vita scolastica, ma esercitata nella sua interezza.

 

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