Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Cosa resta di Saba a 50 anni dalla scomparsa

 Il 25 agosto 1957, 50 anni fa, Umberto Saba, uno dei massimi poeti italiani contemporanei si spegneva, a 74 anni, in una clinica di Gorizia. Umberto Poli, suo vero nome, era nato nel marzo del 1883 a Trieste: il padre Ugo Edoardo, un commerciante veneziano, cattolico, aveva lasciato, poco dopo le nozze, la madre del poeta, Rachele Coen, di famiglia ebraica, ancora incinta.

Un trauma che accompagnò tutta la vita di Umberto e che si incise in modo determinante sulla sua formazione tanto da spingere il poeta a dire metaforicamente: “Mio padre per me fu sempre l’assassino”.

Otteneva nel 1928 il primo riconoscimento ufficiale quando la rivista ‘Solaria’ gli dedicò un numero monografico: molti giovani scrittori, tra i quali Giovanni Comisso, Sandro Penna e più tardi Carlo Levi, lo riconoscono come maestro, attratti da un’arte poetica che è osmosi completa con la vita del poeta. ‘Solaria’ pubblicherà anche ‘Preludio e fughe’ (sempre 1928) – una delle sue raccolte più significative – e poi ‘Parole’ (1934) e anche le brevi prose di ‘Scorciatoie’ (1936). 

 Nel 1938 Saba, come ebreo, è vittima delle Leggi razziali fasciste: deve cedere la proprietà della libreria ad un suo commesso e si trasferisce a Parigi. Lo scoppio della seconda Guerra mondiale lo riporta a Firenze dove si rifugia con la famiglia in condizioni precarissime, aiutato soltanto dalle visite di Eugenio Montale. Sopravvive e si trasferisce di nuovo: questa volta a Milano dove si dedica alla seconda edizione del ‘Canzoniere’ e subito dopo alle raccolte ‘Ultime cose’, ‘Mediterranee’, ‘Uccelli. Quasi un raccontino’.

50 anni dopo, risalta ancora uno dei suoi versi tratti da ‘Epigrafe’: “Parlavo vivo ad un popolo di morti/ Morto allora rifiuto e chiedo oblio”.

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